TRENTO Franco Ianeselli, sindaco di Trento, il risultato del referendum sulla cittadinanza ci consegna una città inclusiva. La maggior parte dei cittadini che sono andati a votare hanno votato si alla riduzione degli anni di residenza, anche nella circoscrizione di Gardolo il 65-70% degli elettori che sono andati alle urne hanno votato a favore.
D. Roat, "Corriere del Trentino", 12 giugno 2025
Un dato importante, anche se inferiore al resto della città, se si pensa ai tanti problemi del quartiere e all’alta presenza di stranieri. La sua politica, non sempre compresa da tutta la sinistra, è stata premiante?
«Non è merito mio, ma di tutti. In questi anni con una presidente della circoscrizione molto attiva come Gianna Frizzera, un consiglio che ha lavorato e le associazioni, siamo stati molto nella comunità e questo è stato premiante. Se guardiamo il dato delle comunali proprio a Gardolo che era la circoscrizione più difficile per il centrosinistra la coalizione che guido ha guadagnato 10 punti percentuali tra il 2020 e il 2025. Per cui se la prospettiva è il voto amministrativo e politico guardiamo alle provinciali con convinzione. Non dobbiamo lamentarci il giorno dopo il referendum, ma lavorare ogni giorno ed essere radicati nella comunità».
È un dato di fatto, però, che il referendum è stato un flop in termini di affluenza.
«Non mi sorprende, il dato sull’affluenza a livello nazionale era vicino al 30%, ce lo aspettavamo, coincide un po’ con i voti del centrosinistra, allargato ai Cinque Stelle. In termini assoluti sulla città di Trento hanno votato al referendum circa 32mila persone, nelle comunali ho preso 27mila voti, se si aggiungono i Cinque Stelle ci siamo. Poi c’è l’aspetto del lavoro, erano quesiti molto tecnici e complicati, continuo a pensare che sarebbe stato molto diverso se ci fosse stato solo il quesito sulla cittadinanza, ci sarebbe stata meno astensione. Poi con esiti incerti, visti i risultati».
Una quota del Pd al quinto quesito ha votato contro, è sorpreso?
«Più che una quota del Pd, dai dati sembra che si sia stata una piccola parte di elettori di dem e gli elettori dei Cinque Stelle. Poi ci sono i limiti dello strumento referendario. Credo, però, che quello che serve davvero al Paese sia lo ius scholae, cioè il principio secondo il quale se completi il ciclo di studi in Italia acquisisci la cittadinanza. Qui invece si discuteva dell’abbassamento da 10 a 5 anni del periodo di residenza legale in Italia per ottenere la cittadinanza. La direzione era quella dell’inclusione, ma il quesito era un altro. La riforma più importante che servirebbe è lo ius scholae e noi siamo impegnati in città e abbiamo inserito nel programma elettorale l’istituzione di questa cittadinanza comunitaria che non è un titolo giuridico ma di principio e mira a riconoscere un’appartenenza alla comunità cittadina a quelle ragazze e a quei ragazzi che terminano il ciclo di studi e magari sono anche nati in Italia, ma devono aspettare i 18 anni per diventare cittadini italiani. Quindi non sono sorpreso del risultato, se confrontiamo anche i dati della città con quelli delle valli coincidono con il voto politico, in città dove c’è un elettorato più legato al centrosinistra, l’affluenza è stata maggiore».
Il dato migliore rispetto al tema della cittadinanza, è quello del centro città, dove in una sezione l’88,26% degli elettori ha votato a favore del quinto quesito, questo nonostante i problemi del degrado e della criminalità legata alla presenza di stranieri.Quindi i residenti del centro città restano inclusivi nonostante la paura?
«Se vediamo questi risultati si, almeno per chi è andato a votare. Credo che quello che fa la differenza è l’atteggiamento culturale, più elevato è il titolo di studio, più c’è questo atteggiamento di apertura, cosmopolita. Anche a Povo, quartiere notoriamente benestante, dove vivono molti professori, c’è stata una buona affluenza e oltre il 70% degli elettori che si è presentato alle urne ha votato a favore».
Secondo lei il referendum era lo strumento corretto per un tema così delicato?
«Oggi in Italia abbiamo un 40% che non vota, alle comunali ha votato il 49%. Quei politici che hanno invitato le persone ad andare al mare hanno dato un messaggio sbagliato, chi ha un ruolo e le istituzioni devono favorire il voto, però si stava operando in un contesto dove il 40% dei cittadini strutturalmente non vota, è quindi giusto credere nelle proprie ragioni, ma non stupisce questo risultato. Non bisogna disperarsi, ma mettersi al lavoro».
In tema di accoglienza, avete riaperto il dialogo con la Provincia sulla Residenza Fersina?
«Noi siamo sempre aperti al dialogo, ci piacerebbe confrontarci, ma in realtà non sappiano nulla, neppure quali progetti ci sono».
Cosa ne pensa del Cpr, altro tema molto divisivo.
«Credo che a un sistema di migrazione servano più cose: un sistema efficace di ingresso nel Paese per chi cerca lavoro, oggi c’è solo il decreto flussi e quindi entra solo chi ha già un impiego, molti fanno richiesta di protezione internazionale solo perché è l’unico modo per entrare nel Paese e cercare lavoro. Dobbiamo poi ammettere che anche le espulsioni non possono non essere previste e quindi servono dei centri, ma devono essere luoghi dignitosi dove poter restare il tempo necessario nelle condizioni migliori possibili. Ma se verrà gestito come la residenza Fersina non sono molto ottimista».
Lei è favorevole al Cpr?
«Non sono io a decidere, ma il governo. Secondo me non è la soluzione, quello che dobbiamo evitare è che diventino luoghi di assenza e indifferenza».
Il Trentino potrebbe usare l’Autonomia per creare centri dignitosi, che siano d’esempio a livello nazionale?
«Certo, più che per sperimentare il terzo mandato l’Autonomia dovrebbe essere usata per avere in ogni settore elementi più avanzati rispetto alle politiche dello Stato».