C'è troppo silenzio sulla norma provinciale sulle piccole derivazioni idroelettriche approvata dal Consiglio provinciale; eppure dovrebbe esser fonte di grande preoccupazione per ogni amministratore trentino e per chiunque abbia a cuore la nostra Autonomia.
Alessio Manica, Alessandro Olivi, 18 luglio 2021
La Giunta, con la supponenza che ha contraddistinto questi primi tre anni di governo, ha voluto portare avanti a tutti i costi una norma che da più parti, a volte anche per valutazioni opposte, veniva giudicata sbagliata, intempestiva e rischiosa: per l'incertezza del quadro normativo, per le troppe deroghe che proponeva, per l'approccio alla materia e anche per i pessimi rapporti tra Trento e Roma, di cui abbiamo ormai riprova con frequenza settimanale. Ora, di fronte alla minaccia di un'impugnativa totale della norma - episodio mai visto nella storia dei rapporti con lo Stato - la Giunta ha fatto immediatamente marcia indietro, impegnandosi ad autoabrogare l'atto approvato nemmeno due mesi fa. Non condividiamo l'indicazione data dal Governo della gara come strumento principale per l'assegnazione delle concessioni, in particolare quelle piccole, e riteniamo che serva un'azione politica europea e nazionale per disciplinare il tema delle concessioni idroelettriche in maniera compiuta; ma crediamo che nell'immediato siano necessarie alcune riflessioni.
La prima valutazione è politica: in quale contesto di interlocuzione politica con il Governo è stata portata avanti una proposta normativa così importante e delicata? La contestazione radicale mossa dai Ministeri non può che certificarne drammaticamente l'assenza. Accettare le richieste governative significa sancire che il Trentino manderà a gara tutte le concessioni idroelettriche, comprese quelle dei Comuni che rappresentano fonte di sostegno per le comunità locali. Saremo gli unici in Italia ad avere una norma che lo stabilisce esplicitamente, perché siamo stati gli unici in Italia ad approvare un intervento normativo di questo tipo. E non è certo motivo di vanto. Fatto il danno conveniva almeno difendere fino in fondo la norma, che conteneva anche degli aspetti innovativi a tutela dell'acqua come bene comune, affrontando un giudizio costituzionale che forse avrebbe permesso di fare un po' di chiarezza in un quadro normativo complesso. Così non sarà: si affronta la Corte Costituzionale per una norma propagandistica sulle aperture domenicali - o per una norma barbara sull'accesso all'edilizia popolare, o per una norma raffazzonata sui Segretari comunali, o ancora per entrare nel capitale di Itas, ecc. - ma non per difendere la norma che dovrebbe governare la nostra risorsa naturale più preziosa e gli interessi economici, sociali e ambientali delle comunità locali.
Ancora una volta la Giunta Fugatti ha centrato il bersaglio sbagliato: ci troviamo in una situazione ben peggiore rispetto a quella precedente all'iniziativa legislativa, con la magra consolazione di una proroga al 2024 delle piccole derivazioni scadute e il rinnovo delle concessioni per autoconsumo. Un piccolo risultato di breve termine a fronte di un danno enorme di lungo periodo, con buona pace dell'Autonomia che ne esce compressa. E questa è una responsabilità politica grave, che non può passare in silenzio, perché ora i Comuni trentini hanno oggettivamente davanti un orizzonte preoccupante.Come sosteniamo da tempo, l'unico modo per affrontare questa partita è non giocarla su questo tavolo. Si abbandoni l'idea di affrontare il tema del rinnovo delle concessioni, grandi e piccole, attraverso lo strumento delle gare. Si costruisca un percorso per una gestione pubblica dello sfruttamento idroelettrico, che tenga dentro gli enti locali e valorizzi la società di sistema che già abbiamo per la gestione. Lungo un percorso così orientato la Giunta provinciale può trovare molti alleati, Comuni e Comunità, parti sociali, associazioni di varia natura, cittadini, imprese.
Mantenere in casa le concessioni permetterebbe una pubblicizzazione dei proventi derivanti dallo sfruttamento dell'acqua, un diffuso coinvolgimento delle comunità locali e una più efficace capacità di contemperare tutte le molteplici esigenze che ruotano attorno all'acqua, civili, agricole, industriali, ittiche, ricreative, sportive, idroelettriche, eccetera,Se usciamo dalla strada delle gare possiamo affrontare una valutazione straordinaria rispetto alle derivazioni oggi in essere: è veramente impensabile immaginare di ridurle, razionalizzarle, scomporle, accorparle? Nel tempo i modi d'uso dei torrenti sono mutati, i cambiamenti climatici non sono più un'opinione ma un dato di fatto ed un'emergenza, le sensibilità delle comunità locali sono cambiate e non possiamo quindi semplicemente discutere del "come" rinnovare, ma anche del "se" rinnovare o concedere ex novo. L'acqua è il bene pubblico per eccellenza, è limitato, e pertanto la massimizzazione del profitto derivante dal suo sfruttamento non può essere l'unico o il principale profilo di valutazione, quello che ci spinge obtorto collo verso la messa sul mercato. Di fronte a questa situazione ci vuole uno scarto, che non può essere tecnico bensì principalmente politico. La Giunta si fermi, sospenda l'iter di modifica, non cristallizzi il danno perché attorno alle derivazioni idroelettriche, al pari dell'A22, si gioca una buona fetta della nostra Autonomia