Siamo a metà legislatura, quale giudizio ritiene di poter esprimere sulla Giunta Fugatti nel suo complesso? Il mio è un giudizio di preoccupante inadeguatezza. Nel primo anno, la Giunta ha sostanzialmente delegato alla struttura burocratico-amministrativa la gestione della macchina provinciale, rinunciando ad una chiara intenzionalità politica e ad un esplicito programma riformatore.
"Il Giornale delle Giudicarie", febbraio 2021
Il presidente Fugatti e la sua Giunta si sono limitati a giustapporre all’ordinaria amministrazione alcune misure simboliche di carattere perlopiù propagandistico, a cominciare dall’innalzamento delle barriere di accesso al welfare per gli immigrati, al ridimensionamento della solidarietà internazionale, al superamento delle gestioni associate dei comuni, ad una sterile contrapposizione tra centri urbani e montagna. Nell’ultimo anno, la Giunta ha dovuto fronteggiare la crisi sanitaria ed economica provocata dalla pandemia e si è concentrata sull’emergenza, con risultati altalenanti tra alti e bassi, ma ha completamente ignorato la prospettiva di medio termine, facendo correre al Trentino il serio pericolo di vedere ridimensionata la forza del suo tessuto economico, sociale e perfino autonomistico.
In quali settori la Giunta, secondo lei, non è stata all'altezza dei suoi compiti? A mio modo di vedere il limite più grave dell’azione della Giunta Fugatti è stato proprio la conclamata e perfino rivendicata assenza di prospettiva dentro e oltre la crisi. Non possiamo programmare il futuro perché siamo in emergenza, ci ha sempre risposto il presidente. Ma è proprio nel pieno delle crisi che si deve al tempo stesso fronteggiare l’emergenza e attrezzarsi per il dopo-crisi. Certo che è difficile, ma solo chi ci riesce potrà uscire dalla crisi più forte e non più debole di come vi era entrato. E un’autonomia speciale che si limiti a tamponare le falle e rinunci a darsi una rotta, a programmare il futuro appiattendosi sul presente, è un’autonomia che nega se stessa. Nel pensare e progettare il futuro si sarebbe dovuto lavorare insieme all’Alto Adige e al Tirolo, rafforzando i legami regionali ed euroregionali. E invece, mai come in questa fase, il Trentino è apparso piccolo e solo, per usare le preoccupate parole di Bruno Kessler. E le due province come due coniugi che vivono da “separati in casa”. Nel frattempo il mondo galoppa, l’Italia è ferma al palo e per la prima volta, a cinquant’anni dalla redazione del secondo Statuto, non riusciamo ad utilizzare l’autonomia per fare meglio e prima del resto d’Italia.
Ritiene che l'emergenza Coronavirus sia stata affrontata nel modo giusto? Si poteva fare meglio? Su questo punto sono sempre stato solidale col presidente e con la Giunta. In astratto si sarebbe potuto fare meglio. Ma in concreto non abbiamo termini di paragone col passato, perché ci siamo trovati dinanzi ad una sfida terribile e del tutto inedita. E tuttavia, a mio modo di vedere, su due versanti si sarebbe potuto (e si potrebbe ancora) adottare un metodo diverso. Il primo riguarda la gestione dei dati, che ha presentato elementi di confusione, in sé comprensibili, ma resi meno tollerabili da un atteggiamento da parte della Provincia inutilmente polemico e nervosamente difensivo. Se non c’è nulla da nascondere, si deve rispondere ai dubbi e agli interrogativi con rispetto e trasparenza, non accusando le voci critiche di fare il gioco dei nemici del Trentino. Il secondo riguarda la prospettiva del nostro sistema sanitario. La pandemia ha messo in evidenza, anche in Trentino, limiti e criticità, che andrebbero indagati con apertura mentale e spirito costruttivo da parte di tutti. Proprio a tal fine da mesi proponiamo come minoranze la costituzione di una Commissione speciale del Consiglio provinciale che lavori sulle orme di quella su Vaia: non per cercare colpevoli e fare processi politici, ma per indagare problemi e cercare, insieme, soluzioni. Nella legge di bilancio 2021, la Giunta ha inserito la previsione di una riorganizzazione del modello sanitario provinciale. L’impressione che si ha è che si tratti più di una mossa di propaganda politica, un frutto tardivo della campagna elettorale di due anni fa, che di una ponderata azione riformatrice, da realizzarsi sulla base di un’attenta valutazione della situazione, col coinvolgimento di tutta la comunità, a cominciare dalle professioni sanitarie, dagli amministratori, dal Consiglio provinciale.
A completamento della legislatura quali, secondo lei, sono gli obbiettivi che ancora si dovrebbero raggiungere? Scrivere insieme un programma per il Trentino post-crisi. Ripensare infrastrutture e urbanistica attorno al grande progetto di corridoio del Brennero. Sostenere, stimolare, incentivare le imprese innovative, capaci di conquistarsi uno spazio significativo nel mercato di domani, e accompagnare quelle obsolete a cessare la loro attività, salvaguardando con politiche attive del lavoro, i redditi dei lavoratori e il sapere imprenditoriale e professionale. Valorizzare gli asset provinciali e regionali, in una logica di sistema: dall’Autobrennero al gruppo CCB, dal Mediocredito all’ITAS, dagli enti di sviluppo provinciale a quelli di ricerca e alla stessa Università, oggi arricchita dalla nuova, importante scuola di Medicina. Rinnovare in profondità la pubblica amministrazione, provinciale e comunale, utilizzando appieno le potenzialità delle tecnologie digitali per riorganizzare il lavoro attorno alla misurazione dei risultati, alla valutazione della produttività, al reclutamento di nuove professionalità. C’è tanto da fare, tanto su cui lavorare, insieme. Se non vogliamo che dalla crisi esca un Trentino più piccolo e solo, rassegnato ad un inesorabile declino.