La Provincia non sa investire

Nel 2019 la Provincia di Trento è riuscita a spendere solo il 27% delle risorse stanziate per gli investimenti. Lo certifica la relazione al rendiconto del bilancio, firmata dal presidente Fugatti e ora proposta all'approvazione del Consiglio.
Giorgio Tonini, 19 luglio 2020

Un dato drammatico, che fa del Trentino una provincia "italiana" a tutti gli effetti. Ma non è tutto: il trend è in netto peggioramento. Nel 2018 la Provincia era riuscita a spendere il 30 per cento degli stanziamenti in conto capitale. Dunque in un anno, l'anno di Vaia, segnato dalla voglia di investire e ripartire, oltre che l'anno di avvio effettivo della "rivoluzione leghista" a piazza Dante, la performance della macchina provinciale è peggiorata di 3 punti percentuali. Di tutta la massa sterminata di dati che ci vengono proposti (non sempre in modo trasparente e intellegibile) quando si discutono e si approvano i bilanci della Provincia, questo a mio modo di vedere è il più importante e il più allarmante.

Gli altri dati, quelli che riguardano la crisi prodotta dalla pandemia, li conosciamo e ormai abbiamo capito che sono spaventosi. Secondo i calcoli della Fondazione Nord-Est, nei mesi di marzo e aprile di quest'anno, su 100 imprese trentine, 18 hanno azzerato il fatturato, 42 lo hanno dimezzato e 21 lo hanno visto ridursi tra il 10 e il 50 per cento. Uno tsunami, che si è abbattuto sulle imprese e ha travolto migliaia di lavoratori. Tra marzo e maggio 2020, l'Inps ha autorizzato in Trentino 16 milioni di ore di cassa integrazione, poco meno di quelle che aveva autorizzato nei tre anni della crisi 2009-2011. In tre mesi la cassa di tre anni terribili. Non si contano ancora i tanti che il lavoro lo hanno perso.

Lo tsunami, lo sappiamo, si è abbattuto anche sulle finanze della Provincia, sotto forma di drastica riduzione delle entrate fiscali: all'appello dovrebbero mancare 350 milioni di euro, al momento solo in parte (138 milioni) ristorati dallo Stato. Stretta com'è tra i morsi della crisi all'economia reale, la caduta delle entrate e i forti limiti imposti dalla legislazione nazionale all'indebitamento, la giunta Fugatti ha obiettivamente scarse possibilità di manovra finanziaria e non ha torto il presidente a chiedere a tutti l'onestà intellettuale di riconoscerlo.

Onestà però chiama onestà. È giusto riconoscere alla giunta provinciale l'appropriatezza, in larga misura obbligata, della parte "difensiva"della manovra di assestamento all'esame del Consiglio, che per lo più consiste nel tappare il buco nel bilancio prodotto dal calo delle entrate fiscali. Ma con la stessa onestà, va fatto rilevare che la parte "espansiva" della manovra, fortemente rivendicata dalla giunta provinciale ed instancabilmente enfatizzata dalla sua macchina propagandistica, è al contrario assai fragile e incerta. Anche perché, come è giusto che sia, è in larga misura affidata ad un programma di investimenti pubblici, sul quale aleggia, per dirla con le dure parole del Coordinamento imprenditori del Trentino, «la negativa sensazione di un riciclaggio mediatico delle medesime opere». Una negativa sensazione che diviene certezza, basata su dati obiettivi, se si considera quel disperante 27 per cento di spesa effettiva sulla massa spendibile certificato dal rendiconto 2019.

Questo numerino semplice semplice, 27 per cento, ci dice che è illusorio sperare in una ripresa robusta e duratura se ci si limita a pompare benzina in una macchina che non funziona. Per rimettere in moto l'economia trentina servono le risorse, ma servono altrettanto e forse ancora di più le riforme. Un programma di riforme che affronti con coraggio e lungimiranza i nodi che la crisi ha messo in evidenza. Su questo punto si è registrato il dissenso più profondo tra noi e il presidente. Fugatti dice che non ha fatto le riforme perché siamo in emergenza dall'inizio della legislatura, prima a causa di Vaia e poi a causa del Covid. Noi pensiamo invece che, tamponata l'emergenza (e su quel piano abbiamo sempre assicurato alla giunta solidarietà e sostegno) si deve mettere in campo un programma di interventi strutturali senza i quali dalla crisi non si esce. Si deve farlo, non si può e non si deve restare bloccati in questo strano, tacito patto tra politica e dirigenza provinciale, per il quale la politica si limita a interventi spot di piccola propaganda e alla dirigenza viene data carta bianca per una perenne e immutabile ordinaria amministrazione.
La politica deve invece ritrovare il coraggio riformatore, da applicare innanzi tutto a ciò che controlla direttamente, la macchina pubblica. Per provare finalmente a farla funzionare in modo moderno, mettendo al centro la produttività.

E invece, stiamo rischiando di perdere l'occasione storica di una riforma vera del lavoro in Provincia (e nei Comuni), indotta proprio dallo "smart working" sperimentato nelle settimane del "lockdown". Altro che far tornare i provinciali nei loro uffici "come prima". Come prima? No, questo è il momento di una ristrutturazione profonda, basata sulla misurazione della produttività del lavoro e non del tempo di permanenza in ufficio e di un nuovo scambio tra dirigenza politica e rappresentanza dei lavoratori, basato come farebbe ogni buona impresa sulla redistribuzione degli utili derivanti dalla produttività. Le aziende migliori insegnano che si può lavorare meglio, produrre di più e guadagnare di più. Che aspettiamo a farlo anche in Provincia? Che aspettiamo a riorganizzare la macchina in modo tale da portare quel vergognoso 27 per cento di spesa effettiva sulla massa spendibile per gli investimenti, al 30 e poi 40, 50, fino al 90 per cento su cui viaggia la spesa corrente? Non tutto dipenderà da noi, d'accordo, ma cominciamo a fare fino in fondo la nostra parte.

Ecco cosa, con onestà e cordialità, chiediamo alla giunta Fugatti. Di non usare la crisi come alibi per non progettare il futuro, ma di utilizzarla come occasione irripetibile per farlo.
Al momento, siamo molto lontani. Sul lavoro provinciale non c'è uno straccio di idea. Sulle comunità di valle si va verso il commissariamento, invece della riforma. Del piano sanitario non c'è ancora traccia. Poche idee, ma ben confuse, su commercio e turismo: a sentire l'assessore al turismo (Failoni) il Trentino è tutto turistico, a sentire quello al commercio (sempre Failoni) è mezzo si è mezzo no e il confine taglia in due il lago di Caldonazzo. Nulla, lo dicono gli imprenditori, per sostenere le imprese che vogliono innovare. E stanno finendo i soldi per la Cassa integrazione.


Cambi passo, presidente Fugatti, o dalla crisi usciremo con le ossa rotte. Sul piano socio-economico, ma anche su quello dell'autonomia, che rischiamo di ridurre a decentramento amministrativo, se rinunciamo a farne la leva per progettare il nostro futuro.