Centrali, meglio la via pubblica

A marzo la terza commissione del Consiglio licenziava il disegno di legge sulle regole per lo svolgimento delle procedure di affidamento delle grandi concessioni idroelettriche.
Alessio Manica, 21 giugno 2020

Per capire quanto questo tema sia nodale per il Trentino basta fermarsi un attimo per focalizzare quanto la risorsa idrica sia sfruttata in Trentino per la produzione di energia, abbiamo 34 grandi derivazioni che producono 5 miliardi di magawatt ora, per un valore annuo di 240 milioni, oppure fare mente locale sull'impatto paesaggistico e sociale di questi impianti realizzati molti decenni fa, o ancora riflettere sui molti interessi che ruotano attorno all'acqua talvolta in conflitto con l'uso energetico come quello irriguo, la valenza ecologica e paesaggistica fondamentale in un ecosistema alpino e non solo per la dimensione turistica o sportiva. L'acqua è per il territorio il bene fondamentale ed è e deve essere un bene pubblico che va utilizzato con sobrietà e lungimiranza.
Anche per i cambiamenti climatici che rischiano di compromettere in modo drammatico le risorse naturali dobbiamo salvaguardare le risorse idriche e considerarle una delle priorità assolute nel governo dell'Autonomia e del territorio.

L'acqua è un bene fondamentale che è e sarà oggetto di conflitto e attorno al quale si muovono interessi che purtroppo sono anche legati allo sfruttamento privato e speculativo.
Per queste ragioni prima ancora che per le importanti entrate economiche (nell'ordine di alcune centinaia di milioni di euro) che possono derivare dai canoni di concessione e dai sovracanoni, si deve fare di tutto per mantenere il controllo e la proprietà pubblica.
Controllo che vede ora il rischio legato al rinnovo delle concessioni che grazie alle Norme di attuazione dello Statuto di Autonomia è ora di competenza provinciale. Rinnovo che deciderà l'assetto per i prossimi 30 anni, che ci vede apripista dal punto di vista legislativo nelle Alpi e che per questo va affrontato con prudenza. Perché si dà per scontata la gara quando è ancora possibile immaginare che le concessioni rimangano in capo ad una società interamente pubblica.

Il primo tema è allora quello di valutare la possibilità di abbandonare la procedura di gara per approfondire la strada di affidamento diretto a un gestore pubblico. Oggi quel soggetto non c'è perché Hydrodolomiti Energia ha una quota importante di proprietà privata. Si deve verificare, similarmente a quanto fatto per il rinnovo della concessione dell'A22, la possibilità di acquisirne il controllo. Come a suo tempo proposto con una mia mozione, il capitale dei piccoli risparmiatori trentini potrebbe sostenere la Provincia nello sforzo. In uno sforzo di comunità unico sul panorama nazionale, coerente con quel principio della natura pubblica dell'acqua.
Il secondo tema è quello legato al valore delle opere che non transiteranno automaticamente in proprietà alla Provincia, i cosiddetti beni asciutti: una partita che vale a seconda delle stime applicate da circa 300 a 700 milioni di euro. Qualsiasi scelta prevalga in sede normativa il rischio di contenziosi è elevato, per non parlare del conflitto legato al fatto che l'attuale gestore è a prevalente proprietà pubblica e quindi potrebbe risultare danneggiato dal criterio di stima. Ritengo che anche in questo caso varrebbe la pena di percorrere una strada più difficile ma tutelante per questa terra, uscendo da questo impasse con un grande investimento di comunità. Lo sforzo per acquisire i beni asciutti vale circa 300 milioni di euro, uno sforzo grande in questo momento storico anche per la Provincia autonoma di Trento. La strada potrebbe quindi essere quella di recuperare le risorse attraverso un operazione di azionariato diffuso, di piccoli risparmiatori. In questo modo i trentini potrebbero partecipare al controllo della risorsa fondamentale di questa terra.
Una sfida complessa ma importante per una terra che già in passato ha dimostrato una marcia in più nella valorizzazione e gestione di questo bene.