A margine del confronto fra la Giunta provinciale e sindacati, il governo dell'autonomia appare sempre più avvolto nell'equivoco che il mandato coincida con il progetto di governo, sul quale si misurano le capacità della politica di interpretare il presente per orientare il futuro.
Luca Zeni, "Trentino", 13 maggio 2019
In tale contesto, il Presidente della Provincia, ancora unavolta, non declina affatto la sua visione dei domani che ci attendono, ma computa ragionieristicamente l’elenco delle istanze materiali ed immediate poste all’Amministrazione provinciale dalla comunità trentina, accanto all’altrettanto stucchevole elencazione dei provvedimenti abbozzati fino ad oggi per rispondere appunto alle domande dei singoli elettori.
Non si tratta di malafede o buona fede, bensì dell’errore di aver scambiato tutto ciò non solo per il “Programma di Sviluppo provinciale” – che in realtà dovrebbe costituire la traduzione programmatica delle intenzioni di lungo periodo – ma anche e soprattutto per quel progetto di governo sul quale innervare la visione del futuro e, di conseguenza, le singole politiche settoriali.
Dietro la sbandierata urgenza del “fare”, dell’agire repentino e delle soluzioni demagogiche ed affrettate ad ogni singola richiesta del “popolo”, si cela un’assenza, ormai palese, di campo prospettico; un’incapacità di incastonare il provvedimento amministrativo destinato all’utenza individuale dentro un più largo profilo di governo delle risorse e della spesa. Pensiamo ad esempio all’ansia emersa nell’affrontare i danni ambientali ed economici causati dal maltempo dell’autunno scorso, che ha portato a drenare risorse ovunque e quindi tagliando la spesa pubblica in settori strategici e messi ormai in grave sofferenza, come nel caso dell’Istruzione.
E’ indubbio che molti anziani siano soddisfatti della gratuità a loro riservata nel trasporto pubblico, ma una seria e responsabile programmazione avrebbe forse discriminato fra i redditi, recuperando così fondi da destinare alle emergenze, senza per questo penalizzare alcuni ambiti strategici, tanto per fare un esempio.
Contraddizioni in materia di utilizzo dell’ambiente; “sparate” sui temi della grande viabilità senza conoscere le reali possibilità di realizzazione e le necessarie coperture finanziarie; lancio e rilancio ad uso delle vetrine mediatiche di personaggi inutilmente polemici ed irrispettosi delle Istituzioni e delle tradizioni locali, come panacea per un sistema museale che di ben altro avrebbe bisogno; utilizzo dei mitizzati “stati generali della montagna” come di un palcoscenico elettorale scarso però di spessore operativo; rinvio continuo di ogni scelta urgente ad una miracolistica manovra di assestamento del bilancio provinciale che, a questo punto, dovrebbe essere più ricca del bilancio stesso, per soddisfare tutte le promesse fatte; avvio delle “liste proscrittive per la “governance” delle società partecipate, anche a prescindere dagli esiti conseguiti dalle stesse; prosecuzione della politica sanitaria così come tracciata nel recente passato, affidandosi però alla facilità della retorica delle periferie senza una ragionevole previsione dei costi nel medio – lungo periodo.
E l’elenco potrebbe allungarsi ancora molto.
Tutto questo altro non è che il segnale, non solo di una regia improvvisata, ma anche di una totale assenza di sguardo politico generale, quello cioè per il quale governare significa sapere cosa si vuole, quando si vuole e come si vuole dal presente e dal futuro.
Certo, la scusante dell’inesperienza, le difficoltà congiunturali, il quadro economico nazionale ed europeo sono tutti elementi che contribuiscono all’affanno dell’oggi, eppure ciò che emerge, nonostante tutto, è la latitanza della dimensione politica; la capacità di guardare oltre la siepe leopardiana del quotidiano; l’indifferenza verso il valore del dialogo e del confronto ed il continuo abdicare alle funzioni che l’autonomia attribuisce a questa terra, invocando invece un costante richiamo alla legislazione ed alle decisioni nazionali.
Non è solo un problema di statura singola, ma soprattutto di evanescenza di una cultura politica fondata solo sulla rivendicazione materiale, sul rancore elevato a valore sociale, sulla risposta demagogica e priva di riferimenti ideologici ed etici, ovvero su tutto ciò che il cittadino vuole sentirsi dire per sé stesso, senza nessuna considerazione della complessità che lo circonda.
E questa continua rincorsa a compiacere l’elettore genera spirali pericolose perché senza fine, alimentando, al contempo, le stigmate di una socialità stanca e priva di speranza.
E’ vero che “saper ascoltare non significa mancare di visione”, ma non si può barattare l’ascolto dei problemi per la soluzione degli stessi.