Sarebbe un vero peccato se la Giunta provinciale riuscisse a dividere il Trentino anche sulla cooperazione allo sviluppo. Sarebbe un’altra (l’ennesima) vittoria della cattiva propaganda sulla buona politica. Una brutta vittoria, anche perché finora sulla cooperazione allo sviluppo si era riusciti a ragionare e lavorare insieme, perfino in Parlamento.
Giorgio Tonini, "Trentino", 28 aprile 2019
Sono passati quasi cinque anni da quel 1º agosto del 2014 quando la riforma nazionale, alla quale avevo lavorato come relatore per tre legislature, finalmente vedeva la luce con il voto unanime della commissione Esteri del Senato, riunita in sede deliberante. Nelle stesse ore, nell’aula di Palazzo Madama, andava in scena uno dei più drammatici scontri tra maggioranza e opposizioni della scorsa legislatura: quello sulla riforma costituzionale, poi bocciata dal referendum del 2016. Ma nemmeno quel clima politico, così esasperatamente conflittuale, era riuscito ad impedire di concludere, in modo condiviso, il lungo iter della riforma della cooperazione.
Del resto, la condivisione ampia, la più ampia possibile, era sempre stata la cifra del lungo lavoro parlamentare che ha prodotto la legge 125/2014. Un lavoro cominciato da un leghista, Fiorello Provera, medico pediatra, da sempre impegnato nel volontariato internazionale, già presidente della provincia di Sondrio e presidente della commissione Esteri del Senato nella XIV legislatura (2001-2006). Proseguito nella (breve) legislatura successiva dal presidente della stessa commissione, Lamberto Dini, che nominò relatori i suoi due vice, Alfredo Mantica per il centrodestra e il sottoscritto per il centrosinistra. Con Mantica, un ex-missino dal quale politicamente mi divideva tutto, abbiamo lavorato in spirito di dialogo, che è diventato crescente condivisione di merito, attorno ad un testo frutto di un intenso lavoro comune. Un testo davvero bi-partisan, che insieme abbiamo promosso, ascoltando le voci più diverse della società civile e vincendo le chiusure corporative di buona parte della diplomazia, e abbiamo difeso dai tentativi di appropriazione e stravolgimento da parte dei governi che si sono via via succeduti. A me è toccato difenderlo da D’Alema, che voleva inserirne una parte in una legge finanziaria del governo Prodi, a lui toccò difenderlo dal ministro Frattini e dal governo Berlusconi, insieme lo abbiamo difeso dal ministro Riccardi e dal governo Monti. Insieme lo abbiamo portato a vedere la luce nel 2014.
Un testo fortemente innovativo: perché supera ogni visione paternalistica dell’aiuto allo sviluppo, inteso come dono dei paesi ricchi a favore di quelli poveri, in favore di una visione paritaria di partenariato per lo sviluppo, nella quale sul valore della cooperazione si incontrano gli interessi dei paesi sviluppati con quelli dei paesi emergenti; perché supera la contrapposizione tra profit e no-profit, coinvolgendo nella cooperazione anche il mondo dell’impresa; perché fa della cooperazione uno strumento essenziale della nostra politica estera, al punto da cambiare il nome della Farnesina in ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI); perché pone l’obiettivo programmatico di colmare il ritardo dell’Italia nell’adempimento degli impegni liberamente sottoscritti (dal governo Berlusconi), di destinare alla cooperazione allo sviluppo lo 0,7 per cento del nostro pil (circa 10 miliardi) entro il... 2015, mentre ancora oggi stentiamo ad arrivare allo 0,25 (poco più di 3 miliardi).
Sarebbe un peccato se, in Trentino, una cattiva propaganda trasformasse questo grande lavoro condiviso in un terreno di scontro e di divisione. Sarebbe bello, invece, se la Giunta Fugatti prendesse in mano il dossier cooperazione trentina, non per tagliare alla cieca, magari opponendo la cooperazione all’aiuto alla disabilità (che sarebbe come proporre di tagliare la scuola per finanziare la sanità), ma per migliorare l’efficienza e la qualità della spesa, per coinvolgere di più il sistema delle imprese, anche per rivedere, se necessario, alla luce della riforma nazionale, le scelte fatte, come ha detto con parole sagge ed equilibrate, su queste colonne, il presidente di Acav, Pierluigi Floretta. Ma con spirito di dialogo e di condivisione. A partire da una comune preoccupazione: quella di evitare di ritrovarci in un Trentino sempre più rissoso e, anche per questo, sempre più piccolo e solo.