Ma che tipo di welfare vogliamo in Trentino? Se lo sono chiesto i sindacati commentando (anzi, criticando) la decisione della giunta Fugatti di prevedere una copertura previdenziale per chi - mamma o papà, lavoratori dipendenti o autonomi - decide di astenersi dal lavoro per dedicarsi alla cura del figlio nei primi tre anni di vita.
L. Petermaier, "Trentino", 12 febbraio 2019
Modello di welfare tipicamente altoatesino (fu fortemente voluto dalla potente associazione agricoltori, il Bauernbund e deliberato dalla Regione) funziona così: per tre anni la Provincia pagherà per intero o integrerà fino a un massimo di 9 mila euro l'anno i contributi previdenziali volontari del genitore che decide di stare a casa anziché tornare al lavoro. L'integrazione arriva a 4000 mila euro per la previdenza complementare. Benissimo. Ottima notizia.
Ma dopo gli applausi forse varrebbe la pena fermarsi un secondo e riflettere: siamo sicuri che sia questo il modello di welfare che vogliamo per le neomamme trentine (perché, volenti o nolenti sono loro che nella stragrande maggioranza dei casi si assentano dal lavoro)? Noi cercheremo di capirlo questa settimana con una serie di approfondimenti dedicati proprio a questo tema.Sì perché la questione non è tanto tecnica, ma semmai tutta politica: fino ad oggi la Provincia aveva seguito un'altra via, quella del sostegno alla conciliazione casa-lavoro prevedendo la copertura previdenziale solo per chi decide di lavorare part-time. Ti aiuto, ma solo se continui a lavorare. E le ragioni sono sostanzialmente due.
Primo: evitare che una prolungata assenza dal lavoro abbia come conseguenza quella di indebolire la neo mamma al momento del rientro. Ci si lamenta sempre che le donne non coprono posizioni apicali e che guadagnano meno degli uomini, ma una delle ragioni principali è legata proprio agli ostacoli sulla via della "carriera" che la maternità pone. Favorire (tramite il sostegno alla contribuzione previdenziale) un'assenza di tre anni filati non va esattamente nella direzione di agevolare la continuità lavorativa.
Secondo: evitare eccessive disparità di trattamento tra chi può permettersi di avere un coniuge per tre anni senza reddito e chi no. La giunta Fugatti ha (legittimamente) deciso di cambiare modello. Lo ha fatto in continuità con una decisione della giunta Rossi del 2018 che però non aveva mai trovato pratica applicazione in Trentino. Ora lo avrà. La stima è che saranno 4-500 le persone che chiederanno il sostegno alla contribuzione previdenziale completa per una spesa annua stimata in circa 700 mila euro l'anno. Una spesa tutto sommato contenuta, ma che ha un chiaro significato politico. Indica una strada: basta conciliazione, via all'assistenzialismo.
Ma la giunta Fugatti è la stessa che ha vinto le elezioni promettendo gli asili nido gratis proprio in un'ottica di conciliazione: ma allora come si coniugano gli asili gratis con il sostegno ai genitori a stare a casa tre anni di fila?In attesa di capirlo, ieri la Provincia ha pubblicato la delibera che contiene le modifiche al cosiddetto "Pacchetto famiglia" specificando chi può presentare la domanda. Ecco chi sono: tutti coloro che sono autorizzati ad effettuare i versamenti previdenziali volontari (presso l'Inps o una delle casse di previdenza dei/delle liberi/e professionisti/e) o sono iscritti ad una forma di previdenza complementare; i/le lavoratori/trici dipendenti del settore privato per i periodi di aspettativa non retribuita e senza copertura previdenziale dopo 5 mesi di congedo parentale; coloro che hanno un contratto di lavoro a tempo parziale con orario di lavoro fino al 70% di quello previsto per il tempo pieno; i/le lavoratori/trici autonomi/e dopo il congedo parentale; i/le liberi/e professionisti/e dopo il congedo di maternitàIl contributo non spetta ai/alle lavoratori/trici dipendenti da pubbliche amministrazioni e a coloro che sono titolari di pensione diretta. E' richiesta la residenza da almeno cinque anni nella regione Trentino-Alto Adige o in alternativa la residenza storica di quindici anni di cui almeno uno immediatamente antecedente la domanda.
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A differenza del resto d'Italia, dove si è registrato un aumento più contenuto, in Trentino dal 2011 al 2016, secondo i dati Istat, si è potuto osservare un aumento esponenziale del rapporto tra il tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con almeno un figlio in età prescolare e delle donne senza figli: un rapporto che è schizzato da un 77,4 ad un 89,7. In parole povere, sono aumentate le donne che, pur avendo figli piccoli, lavorano. Questo uno dei tanti temi che sono stati trattati nella Relazione della Commissione Pari Opportunità tra donna e uomo sullo stato di attuazione della Legge provinciale sulle pari opportunità e sull'andamento delle politiche di pari opportunità in Trentino, presentata ieri presso Palazzo Trentini.
Al contempo, però, le decisioni in materia di welfare nella nostra provincia sembrano andare in direzione opposta, garantendo la copertura previdenziale per i genitori che nei primi tre anni di vita del figlio decidono di astenersi dal lavoro. A margine della presentazione abbiamo chiesto un parere al membro della Commissione Claudia Loro, peraltro segretaria generale della Slc della Cgil del Trentino, che nell'incontro ha parlato dei temi riguardanti il lavoro e la conciliazione."Come commissione daremo puntualmente un nostro parere una volta analizzato in maniera complessiva il modello e quindi esprimeremo pubblicamente il nostro pensiero -spiega Loro senza voler dare pareri affrettati- certo, c'è il rischio di far restare le donne a casa, in particolare le donne che occupano posizioni più deboli dal punto di vista dell'inserimento nel mercato del lavoro o che occupano posizioni di non valorizzazione professionale. Il rischio è esattamente questo, di non incentivare il lavoro femminile, incentivando quello di cura ancora declinato al femminile".
Se è vero che questa copertura previdenziale è a disposizione di entrambi i genitori, spesso a non lavorare ed a prendersi cura dei figli nei prima anni di vita, ma non solo, sono le donne. "C'è un problema anche culturale dentro alla coppia - continua Loro - se pensiamo alle percentuali del lavoro di cura questo è ancora prettamente femminile. C'è un miglioramento nelle giovani coppie, ma è ancora così. Questo è un problema culturale, bisogna pensare non alla maternità ma alla genitorialità, che ci sia una parità all'interno della coppia, altrimenti il problema della conciliazione rimane solamente un problema delle donne".E per superare questo scoglio culturale? "Serve un approccio più olistico, con una cultura della parità fin dalle scuole, per crescere nell'uguaglianza".Tra le osservazioni in merito alla conciliazione emersi dalla relazione della Commissione c'è quello dell'invecchiamento: l'attenzione è infatti quasi completamente posta sulla genitorialità, mentre con l'aumento dell'età media della popolazione e dell'età pensionabile aumentano le necessità in merito alla cura di persone anziane o semplicemente di sé stessi: "Serve una contrattazione che non coinvolga solo la genitorialità, ma che pensi anche all'invecchiamento bisogna invertire la logica".