Mi iscrivo al Partito Democratico nel Trentino, nell'Italia, nell'Europa, nel mondo, di Claudio Forti e di Lassine Diarra

A Claudio Forti dobbiamo essere grati per la franchezza. Di “autentica cultura cristiana”, impegnato nel “recupero dei valori dei nostri padri”, confessa a Vita Trentina, in dissenso da papa Francesco e dal vescovo Lauro,la ragione del suo voto alla Lega: sono superati i “dogmi” del dialogo (fra le religioni) e dell'accoglienza (degli immigrati).
Silvano Bert, 9 gennaio 2019

Io sono grato anche a Lassine Diarra. Quando alla Residenza Fersina leggiamo sul libro che è di 80 anni l'età media della vita in Italia, e di 45 nel Mali, il giovane musulmano si interrompe: “Il libro è vecchio, oggi nel Mali è di 55, perché muoiono meno bambini”. Parla sottovoce, perché l'abisso resta grande, ma con orgoglio, perché quello, da dove è dovuto emigrare, è il suo paese. Per me è un'autentica lezione di senso civico e storico. Oggi Lassine studia meccanica all'Enaip, fa il servizio civile in una casa di riposo, attende la legge sullo jus soli. I molti Lassine per Maurizio Fugatti non sono che fantomatici trentini che per stare meglio pretendono di trasferirsi a Montecarlo. Per questo è sicuro che migliaia di cattolici, e molti preti delle valli, la pensano come Forti. E il crocifisso diventa un simbolo identitario da brandire contro l'invasione dei musulmani, e in difesa della famiglia naturale minacciata dal gender.

Questo ragionare leghista, inatteso nelle proporzioni dell'urna, mi fa tornare alla mia giovinezza, quando ho aperto gli occhi alla politica. Nel '68, “operai e studenti uniti nella lotta”, immaginavamo l'utopia a portata di mano, “ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. Insegnanti e studenti si riunivano in assemblee affollate, accese, fino a notte inoltrata. Dal movimento spontaneo nasceva la scuola serale per gli operai, senza dirigenti, orari, e programmi. Fu una fiammata. Nel '73 mi iscrissi al Partito comunista, un corpo vivo e massiccio in cui l'utopia entrava ogni giorno in tensione con il realismo: assemblee e consigli scolatici, giornali e manuali, conflitti e alleanze. Lettera a una professoressa e la grammatica. Leggevo Sette Giorni, Critica marxista e Testimonianze di Ernesto Balducci. Nasceva l'Invito di Piergiorgio Rauzi. Io e Laura celebrammo il matrimonio non concordatario, prima in municipio, poi in chiesa.

   In quei quindici frenetici anni ho fatto opposizione (costruttiva, mi auguro) nelle istituzioni, dalla circoscrizione al comune, dall'ospedale all'università, ma oggi ricordo soprattutto le cento assemblee in difesa delle leggi del divorzio ('74) e dell'aborto ('81). Le persone erano attente, problematiche, combattive. Molti cattolici, in dissenso dai papi e dai vescovi, autonomi nel voto al referendum, riconobbero il pluralismo etico della società e contribuirono alla laicità dello Stato. Sull'onda del Concilio Vaticano II imparammo a distinguere la politica dalla religione. Conobbi Paolo Prodi e Mario Gozzini. Il vescovo Luigi Bettazzi e Enrico Berlinguer si scambiarono lettere discusse in altre cento assemblee.

Poi, complice il terrorismo, il riflusso nel privato, la politica finisce in un vicolo cieco. Poi la svolta che unifica il mondo: nel 1989 cade il Muro a Berlino, senza spargimento di sangue, e l'anno dopo l'Onu dichiara che l'omosessualità non è una malattia. Corrono le tecnica e l'economia. La politica soffre, arranca, ma si rimette in moto, il cantiere dell'Europa riprende vigore. In Italia si incontrano finalmente le due storie, della sinistra operaia e del cattolicesimo democratico, che la guerra fredda aveva tenuto divise. Io, con simpatia critica, disincantato, da esterno, ne accompagno il cammino, avvelenato da personalismi e scissioni, fino all'approdo nel Partito Democratico. Alle elezioni del 2013 do la mia preferenza, pubblica, a Bruno Dorigatti e a Donata Borgonovo Re, che non sanno, non possono, corrispondere alle attese. Chiamati oggi a confronto, concordano però che non è finita la storia.

Io più che alle manovre dei leader preferisco guardare alla società. Sono tali il disorientamento e la paura indotti dall'arrivo degli immigrati che nel 2018 anche i trentini affidano alla Lega il governo della Provincia. “Prima i trentini” è un “buon senso” che tenta la società intera. La comunità cristiana al rischio è la più esposta: Claudio Forti si ritiene un cristiano autentico. Il no al Cinformi e alla moschea, all'educazione sessuale e di genere è il respingimento del pluralismo sociale, culturale, religioso. Il video dell'altalena nel parco, un'opera d'arte, è oggetto d'indagine disciplinare. “Il crocifisso a scuola non dà fastidio a nessuno”, sentenziano il ministro Bussetti e l'assessore Bisesti.

Ci abbandoniamo al pessimismo? A Trento, nella “giornata per la pace”, nella chiesa dei Cappuccini, il diritto alla moschea ottiene un applauso non unanime, ma consistente. Che si ripete nella chiesa di Sant'Antonio per la festa delle coppie, dopo la preghiera per il riconoscimento delle nuove famiglie, anche quelle arcobaleno.

Forse anche il mio granello di sabbia può essere utile. Decido di iscrivermi al Partito Democratico. Partito è riconoscersi “parte” del popolo, un corpo fragile sopravvissuto nella luce e nelle intemperie del mondo globale, senza un'utopia da sbandierare, né un realismo consolidato da praticare. Non torneranno le assemblee affollate di quarant'anni fa. Può essere il PD una casa in cui dialogare, per costruire una società a identità plurale? Non da solo, ma con altri. Nel pensare con speranza sono avvantaggiato dall'essere figlio di emigranti e discendente dai Longobardi, barbari ariani. So bene per altro che io non vedrò mai realizzati due obbiettivi a cui tengo: l'abolizione dell'ergastolo e l'insegnamento laico, per tutti, di storia delle religioni. Eppure non smetto di parlarne.

 

Trento, 9 gennaio 2019.                                                 mail: silvanobert43@gmail.com