Con sentimenti contrastanti ho preso atto delle più recenti posizioni scaturite dal dibattito, faticosamente avviatosi in questi giorni dentro il Partito democratico e mi permetto solo alcune rapide osservazioni.
Bruno Dorigatti, "Corriere del Trentino", 17 novembre 2018
Avendo lanciato e sostenuto, anche in tempi non sospetti, il progetto di un nuovo soggetto politico, capace di ricomprendere le diverse sensibilità presenti nella galassia di ciò che fu il centrosinistra autonomista, sono convinto che una simile opzione non possa limitarsi a essere un mero rifacimento di facciata, ma necessiti di tempi lunghi, di riflessioni profonde, di ritrovate serenità, di dialogo costruttivo e di rinunce sostanziali a singole bandiere di parte.
Serve tempo per un’elaborazione, che deve passare anche sul complesso riassemblaggio, fin dove possibile, dei cocci rotti dall’urgenza delle antipatie personali e delle rivincite egoistiche e nella consapevolezza di quanto sia ormai tardi accorgersi adesso della necessità di una coalizione larga per affrontare, ad esempio, le elezioni politiche suppletive in più di un Collegio provinciale.
Quello che forse va fatto, insieme perché di tutti abbiamo bisogno, è un chiarimento di fondo circa la rotta da seguire nei prossimi mesi. Se vogliamo cioè rimanere chiusi nelle nostre contrapposizioni intestine e quindi rassegnarci a un ruolo di progressiva emarginazione, oppure se vogliamo veramente dar vita a un diverso soggetto politico territoriale, con nome e simbolo nuovi e distante da Roma, attraverso un’assemblea fondativa, dove scrivere obiettivi, progetti e regole in un documento capace di fare sintesi, senza cadere per l’ennesima volta nel trito rito delle correnti interne di potere e dentro il quale tutte le culture del vasto pianeta riformista possano riconoscersi e lavorare insieme. In tale contesto quindi anche un congresso locale coincidente con quello nazionale può rivelarsi utile, purché sappia focalizzarsi soprattutto su un disegno di effettivo rilancio politico.
Solo così ci si potrà presentare, non solo all’elettorato al momento del consenso, ma soprattutto alla comunità trentina, per ascoltarne i bisogni; per interpretarne le esigenze e per offrire le prospettive di un progetto politico alto e in grado di definire nuove visioni per il futuro, nella consapevolezza che l’esito pesante della consultazione elettorale dello scorso ottobre è imputabile anzitutto alla leggerezza di una classe dirigente, della quale anch’io ho fatto parte, talmente convinta di aver già perso da non combattere nemmeno.
Condivido, infine, l’opinione di chi afferma che la sconfitta non è dovuta a «cattiva comunicazione» o a «questioni di percezione», quanto piuttosto a responsabilità nostre e da queste bisogna ripartire, riannodando, con umiltà, i legami che per decenni abbiamo avuto con la comunità, consci che questa non abita nei salotti cittadini, ma nelle difficoltà quotidiane delle periferie e dei centri urbani. È lì che va riavvolto il nastro della storia del centrosinistra autonomista, anziché nelle formule congressuali, per renderlo nuovamente interlocutore credibile del domani.