Viviamo in un’epoca di incertezza, nella quale è sempre più difficile fare previsioni. Ma una cosa è pressoché certa: se alle elezioni trentine del prossimo ottobre (tra poche settimane!) il centrosinistra autonomista da una parte e le forze civiche non accasate a destra dall’altra, si presenteranno divisi e anzi in competizione polemica tra loro, la vittoria del nuovo centrodestra a trazione leghista e, di conseguenza, l’omologazione passiva del Trentino al resto del Nord, si faranno inevitabili.
Giorgio Tonini, "L'Adige", 24 giugno 2018
Le Provincia autonoma di Trento di fatto non sarà più autonoma, diventerà una pedina (peraltro marginale) del sistema di potere che, con indubbia abilità e altrettanto grande spregiudicatezza, Matteo Salvini sta costruendo a livello nazionale e perfino internazionale. Le decisioni che riguardano la vita presente e futura del Trentino saranno prese altrove.
Le decisioni che riguardano la nostra vita presente e futura dei cittadini e delle comunità del Trentino saranno prese non più a Trento, pur in una dialettica politica e istituzionale con Roma e Bruxelles, come è sempre avvenuto fin qui, ma direttamente tra Milano e Roma. Conosco e stimo l’on. Fugatti come una persona seria e perbene. Ma non scommetterei un centesimo sulla sua possibilità di porsi in modo autonomo rispetto al potere di Salvini. Abbiamo visto come è stata «normalizzata» la Lombardia, coi suoi quasi dieci milioni di abitanti e il suo gigantesco pil e che fine ha fatto il governatore Maroni, un padre storico della Lega, per non aver voluto baciare la pantofola del nuovo sovrano. Non penso possano esserci dubbi su quali saranno le regole d’ingaggio per una Provincia ex-autonoma, come sarebbe la nostra, una volta finita nell’orbita del potere neo-leghista. La consueta, penosa ressa di nani e ballerine, che a Trento come a Roma sgomitano per saltare sul carro del vincitore, è già un monito sufficientemente chiaro, per chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire. I gruppi dirigenti dei partiti del centrosinistra autonomista, come dell’area civica popolare, autonomista e riformista, sono dunque chiamati ad assumersi una responsabilità storica: decretare, con la loro inerzia, la divisione del campo democratico e autonomista e dunque la vittoria a tavolino della strategia dell’omologazione del Trentino all’onda populista, antieuropea e xenofoba, oggi guidata dalla Lega di Salvini; o invece porre un argine a questa pericolosa deriva, mettendo in campo la proposta agli elettori trentini di un’intesa, un accordo, un compromesso alto, solido, credibile, tra le ragioni del buongoverno dell’autonomia, che ha visto protagonisti in questi anni non solo presidenti, assessori e consiglieri del centrosinistra autonomista, ma anche sindaci e amministratori locali che non hanno avuto minori meriti e responsabilità, e la impetuosa domanda di cambiamento, di rinnovamento, di discontinuità, che alle elezioni del 4 marzo scorso è emersa prepotentemente, dalla comunità trentina, in misura non certo minore rispetto al resto d’Italia.
Non si tratta, non può trattarsi, né di aggiungere una seggiola «civica», attorno ad un tavolo già apparecchiato e già affollato di partiti e partitini, tutti più o meno in affanno, né di fare del movimento civico, assecondando l’umore populista del momento, una nuova istanza totalitaria, che presume di ricomprendere in sé tutto il popolo, per l’appunto, «oltre destra e sinistra», facendo tabula rasa di storie, esperienze, comunità politiche, che vanno piuttosto rinnovate, rivitalizzate, rifondate, con l’apporto decisivo di idee e facce nuove.
Il buon senso e il senso della storia ci dicono che la virtù e la saggezza stanno nel mezzo, nella ricerca di una sintesi alla quale ciascuno è giusto concorra presentandosi al confronto senza veti né pregiudiziali.
Vent’anni fa, toccò al sindaco di Trento mettersi alla testa di una grande e nuova alleanza, al tempo stesso politica e civica, composta di partiti e di amministratori, per il governo dell’autonomia speciale trentina e regionale. Lorenzo Dellai seppe pensare in grande, abbattere storici steccati e includere forze, esperienze, culture che avevano passato decenni ad escludersi a vicenda. E salvò l’autonomia dal duplice rischio dell’ingovernabilità e dell’omologazione al berlusconismo. La storia non si ripete mai allo stesso modo. Ma potrebbe essere di nuovo l’ora di un sindaco, magari stavolta non del capoluogo, ma di un’altra grande città del Trentino. Purché dimostri, in modi e forme diverse e originali, lo stesso coraggio, la stessa capacità di visione, la stessa inclinazione ad includere, piuttosto che ad escludere, a mescolare, piuttosto che a separare. Il tempo vola. E ci dice che non è più tempo di prendere tempo.