Ora la politica deve aprire le orecchie al disagio

Il 4 marzo è iniziata la Terza Repubblica. La Prima Repubblica, costruita su conventio ad excludendum e influenzata dalla «guerra fredda», non ha retto all’azione della Procura di Milano all’inizio degli anni ’90 e ha lasciato il posto alla cosiddetta Seconda Repubblica, nata sulla contrapposizione tra i sostenitori di Silvio Berlusconi e i suoi avversari.
Gabriele Hamel, "Corriere del Trentino", 14 marzo 2018

 

Romano Prodi riuscì a costruire un’area larga che andava dai comunisti ai democristiani di rito martinazzoliano passando per socialisti, ambientalisti, liberali, un’area larga che aveva, però, come unico collante l’antiberlusconismo. La Seconda Repubblica si è retta, quindi, sulla contrapposizione tra berlusconiani e antiberlusconiani grazie anche a un sistema elettorale per tre quarti maggioritario (Mattarellum) il quale ha spinto alla formazione di due vastissime coalizioni alternative. La Seconda Repubblica è stata quindi sostenuta dalla potenza televisiva e da una leadership carismatica in grado di compattare il centrodestra e — paradossalmente — la coalizione avversaria.

Gli esclusi della Prima Repubblica sono persino arrivati al governo, si pensi a D’Alema (primo premier proveniente dall’ex Pci) o a Fini (ex Msi, il quale ha ricoperto cariche di governo ed è divenuto terza carica dello Stato). Il bipolarismo innaturale e forzato della Seconda Repubblica è però crollato sotto i colpi del fallimento della Terza Via, della depressione economica del 2008, della crisi dei debiti sovrani, dei fenomeni di malcostume della politica nazionale e regionale prontamente scoperti e divulgati da Rizzo e Stella. Lo sviluppo impressionante del web negli ultimi anni ha portato alla crisi della carta stampata e della televisione, principali canali informativi degli italiani durante la Seconda Repubblica.

E dal web è nata la novità politica italiana della nascente Terza Repubblica, una forza che è riuscita in pochi anni a diventare primo partito italiano raccogliendo la rabbia degli sconfitti della globalizzazione, dei delusi di centrosinistra e centrodestra, dei nuovi poveri e di un ceto medio impaurito da fenomeni transazionali che la politica tradizionale non è stata in grado di governare sia per incapacità partitica, sia per mancanza di strumenti nazionali adeguati. In tale orizzonte le elezioni politiche del 2013 hanno lanciato un primo campanello d’allarme, facendo saltare definitivamente il sistema bipolare e costringendo la forza erede dell’Ulivo e le forze del Ppe a formare governi di responsabilità nazionale con lo scopo di rendere più efficiente il sistema istituzionale e sgonfiare così il Movimento 5 Stelle.

Matteo Renzi è stato abile nello sfruttare la fine della classe dirigente dell’Ulivo e ha tentato di costruire una forza politica post-ideologica in grado di contrapporsi al M5S al ballottaggio dell’Italicum nell’elezione dell’unica Camera che nel nuovo disegno costituzionale avrebbe avuto potere di sfiduciare l’esecutivo. È stato un disegno coerente che non ha retto, però, al malcontento di 19 milioni di italiani e alla giurisprudenza costituzionale che ha smantellato una legge elettorale incoerente con la dimensione parlamentare (quindi non presidenziale o semipresidenziale) dello Stato. Renzi ha provato a governare il superamento della Seconda Repubblica con una soluzione incompatibile con la crescente rabbia sociale, in uno scenario europeo favorevole alle destre e alle forze reazionarie; ha tentato di incarnare il «Blair italiano» in un orizzonte di crisi profonda del modello post-socialdemocratico.

Gli italiani, quindi, il 4 marzo hanno sparato gli ultimi colpi di cannone sul palazzo della Seconda Repubblica affondando Renzi e Berlusconi e premiando il M5S e la nuova Lega lepenista di Salvini. Eventuali nuove elezioni anticipate confermerebbero l’attuale esito: una nuova legge elettorale con premio di maggioranza porterebbe Di Maio a fagocitare ciò che resta del Pd e Salvini a rottamare Forza Italia. Il centrosinistra — come ha scritto Freccero — negli ultimi anni si è seduto dalla parte dei vincenti della globalizzazione e ha dimenticato le nuove generazioni che hanno guardato al M5S come megafono per il loro disagio sociale. L’Autonomia trentina non è bastata per fermare il vento; la crisi della cooperazione, delle cantine sociali, dell’edilizia, l’arretramento dei servizi pubblici nelle periferie e nelle valli hanno causato la storica sconfitta della coalizione di governo. Non ci sono ricette forti e immediate per fermare il trend negativo: i cambiamenti che stanno vivendo l’Italia e il continente europeo toccano anche il Trentino, nonostante l’avanzato welfare abbia consentito di attutire i colpi della crisi.

Suggerisco ai consiglieri provinciali di ripartire dal disegno di legge di iniziativa popolare delle Acli sui costi della politica; all’assessore alla sanità consiglio poi di promuovere la riforma «hub and spoke» comunicando a tutti i cittadini residenti nelle valli passo per passo ciò che si sta realizzando nella massima trasparenza con opuscoli informativi chiari. Si facciano sentire i cittadini parte del sistema anche con nuove forme di partecipazione amministrativa, non ci si trinceri più dietro i numeri e le statistiche vuote. Le persone hanno urlato il loro disagio, adesso la politica apra le orecchie.