È passata poco più di una settimana dall'approvazione, in Consiglio provinciale, della possibilità data alle elettrici e agli elettori di esprimere, alle prossime elezioni del 2018, due preferenze, una ad un uomo, ed una ad una donna. Su tutti i quotidiani locali è apparsa l'immagine di noi, donne del Consiglio Provinciale, emozionate e felici grazie al raggiungimento di un risultato, insperato, fino a qualche giorno prima.
Lucia Maestri, 10 dicembre 2017
Quell'immagine rappresenta un'istantanea impietosa della situazione che, la nuova norma, ci auguriamo, possa contribuire a modificare.
Guardate quella foto. Contateci. Siamo solo sei. Sei consigliere su 35 componenti l'Assemblea provinciale. Sei, di quelle 23 donne elette in Trentino, in quindici legislature dal 1948 ad oggi. È questo «23» un numero che parla da solo; se pensiamo che 525 sono stati i seggi assegnati da allora ad oggi.
Questo numero, 23, sollecita tutte/i noi a non dimenticare da dove parte questa difficile avventura cominciata, molti anni fa, (più di venti) grazie all'azione politica delle donne che ci hanno preceduto in Consiglio Provinciale e conclusasi (sul piano normativo) lo scorso primo dicembre.
Molte donne e molti uomini si sono complimentati con me, con Manuela Bottamedi, e con le altre donne e uomini, per il risultato raggiunto.
Quasi tutte/i hanno riconosciuto che a tale risultato siamo giunte dimostrando perizia legislativa, capacità di fare squadra, astuzia. Sgorgate dal protagonismo di due donne, una di maggioranza e una di minoranza (ma le regole elettorali non si scrivono cosi?) e condivise da tutte e con tutte. Condivise, inoltre, dalla maggioranza di centro sinistra autonomista che ha «fatto quadrato» mantenendo fede ad uno dei punti del programma di governo.
La legge è dunque acquisita. Tutto fatto? Tutto a posto? Miope sarebbe dormire sugli allori. Essa costituisce «solo» il punto di partenza di un processo che sarà, inevitabilmente, ancora lungo e complesso. Un processo che dovrà vedere uomini e donne insieme, impegnati a far vivere, dentro la comunità trentina, il fondamento della parola «politica».
«Politica»: luogo della pluralità, pluralità che è differenza. Spazio pubblico in cui le donne e gli uomini possono contribuire alla costruzione di una democrazia che rispecchi la vita delle une e degli altri.
Luogo della sintesi, non solo di sensibilità politicamente diverse, ma anche di pratiche quotidiane che differenziano in maniera sostanziale, le donne dagli uomini.
Il conciliare realizzazione professionale e vita familiare. Il cercare, e trovare, fortunatamente lavoro «a patto che tu non faccia figli»; l'essere considerate donne «solo» se si fanno figli; il vedersi riconosciuto «il merito» (il merito di essere appena ascoltata) se, e solo se, sei due volte più brava e preparata di un tuo collega; l'essere, designate «persone dell'anno» dalla blasonata rivista «Time» per aver avuto il coraggio di portare alla luce il triste fenomeno delle «molestie sessuali» (ma quante sono purtroppo?) subite sul posto di lavoro. (Evviva alle donne che lo hanno fatto. A nome di molte che non possono farlo. Abbasso a chi le costringe a quella dimensione. Siano esse attrici, impiegate, cassiere, infermiere e via elencando.)
Sono condizioni, tutte queste, che il genere maschile non vive, e che, non conoscendo il che cosa significhi viverle, fatica ad individuare, pur invocandoli, (a volte strumentalmente) i provvedimenti utili ad un loro superamento.
Ma le pratiche quotidiane delle donne stentano ad essere conosciute e ri-conosciute dentro le istituzioni anche quando sono simili a quelle degli uomini.
Penso al pingue scrigno di intelligenze e competenze che la vita delle donne, leggendola, racconta.
Preparate, nel mondo della ricerca, dell'università, dell'economia, dell'industria, della finanza, delle professioni, della pubblica amministrazione, della magistratura, della sanità e dell'impresa, competenti, in ogni articolazione dei lavori che svolgono, poichè anche per le donne, (e non solo per le donne), il lavoro è fonte di identità oltre che di guadagno, sembrano interessare poco ai luoghi dove si esercita la facoltà di «decidere» il cammino di un territorio.
Può il Trentino privarsi di questa ricchezza? Può non riconoscerla? Può la politica trentina essere sorda a ciò che è già realtà, da tempo, tra i suoi confini?
Ma se le donne, molte donne, fossero protagoniste della «decisione politica» non vi sarebbe un miglioramento per tutti?
La legge acquisita consegna, a tutte/i , tre grandi responsabilità.
La prima è in mano alle donne. Alla loro determinazione a alla loro voglia di essere protagoniste di una stagione nuova. Mettendosi in gioco, senza paura o falsi timori di presunta non adeguatezza.
La seconda è in mano alle elettrici e agli elettori. Che, con la espressione di una preferenza ad una donna e ad un uomo, o solo ad una donna, o solo ad un uomo, hanno in mano le chiavi per costruire un diverso patto tra «generi», poichè la parità si costruisce «in due», con uomini e donne parimenti partecipi e cointeressati allo sviluppo di una uguaglianza non formale, ma sostanziale.
La terza è in mano ai partiti. Che delle donne non possono farsi gioco, usandole come classico orpello per «sentirsi al passo con i tempi». Le donne, oltre che candidarle bisogna eleggerle. E gli strumenti non mancherebbero.
Se «l'Autonomia è il diritto di sentirsi in dovere» il Trentino non può abdicare né a questo diritto, né a questo dovere. Il diritto-dovere di essere volano di cambiamento, il diritto-dovere di essere inclusivo, di riconoscere che, in questa terra, un diverso sguardo sul mondo, un alto grado di competenza e merito albergano anche nell'universo femminile.
Le regole sono all'altezza, ora. Lo siamo anche tutte e tutti noi?