Appare sempre più probabile la conclusione naturale della legislatura, dunque nel 2018 avremo prima le elezioni politiche e poi quelle provinciali. La domanda da farsi allora è se ci stiamo preparando in modo adeguato alla doppia e più che mai incerta scadenza.
Roberto Pinter, "Corriere del Trentino", 17 maggio 2017
Mi riferisco alla coalizione di centrosinistra autonomista che fa molta fatica a riorganizzarsi, ma anche al Partito democratico che, dopo la batosta referendaria, ha consumato il rito delle primarie con le quali è stato certificato il preoccupante allontanamento di una buona parte della sua base.
Il fatto che in Trentino ci sia un’opposizione di centrodestra frammentata, sconclusionata, in grado solo di bloccare i lavori del Consiglio provinciale, e che i Cinque Stelle esercitino una minore attrazione non dovrebbe rassicurare più di tanto. Saviano ha recentemente detto che se la politica non offre strumenti di trasformazione e prevale la sfiducia, i cittadini hanno solo voglia di far saltare il banco esercitando il diritto alla vendetta. Se non si colgono in Trentino segnali netti in tale direzione si rischia grosso. Può accadere di tutto, pure che un’ondata di risentimento cancelli una classe di amministratori a prescindere dai loro meriti e demeriti.
Sarebbe dunque sciocco pensare che, in assenza di una leadership alternativa, quella attuale sia destinata a essere confermata: non basta l’assenza di antagonisti per ottenere la fiducia. Purtroppo sono troppi i parlamentari e consiglieri provinciali che pensano più a salvaguardare il proprio spazio che a preoccuparsi del risultato collettivo. Ciò che andrebbe fatto subito è la rigenerazione di una coalizione che ha governato l’autonomia negli ultimi quindici anni. Vanno definite le prospettive per il futuro di questa terra (la carta dei valori e il programma) e indicate le risorse umane che saranno chiamate a governarla (le candidate e i candidati). Le incertezze con le quali si stanno gestendo le riforme e la carenza di idee manifestate nell’immaginare il terzo statuto non hanno rafforzato il centrosinistra trentino. I partiti sono fondamentali e perciò chiamati a un maggior ruolo di responsabilità. Perché dovranno ritrovare l’energia e le idee per ridare smalto all’alleanza, elaborando un pensiero politico e rinnovando la classe politica, cosa assai difficile visto che i gruppi dirigenti coincidono in gran parte con gli attuali eletti.
Presentarsi alle elezioni politiche sorretti dalla logica della spartizione tra i partiti, e riproponendo il solito gioco dei candidati calati dall’alto, quindi imposti ai territori, significa pertanto fare poca strada. Quattro anni fa c’era ancora Berlusconi da fermare e un’autonomia da salvaguardare. Oggi la situazione è cambiata, l’elettorato è molto più libero, anche di non votare. Quattro anni fa la possibilità di dare un segnale importante (con la scelta di nomi innovativi) era stata impedita dai candidati intoccabili, adesso diventerà una questione decisiva.
Non si tratta di rottamare, anzi. Non c’è mai stato così bisogno di recuperare competenze ed esperienze facilmente bruciate dal falò delle nuove ambizioni, ma siamo obbligati a plasmare una diversa capacità di rappresentanza a prescindere dal valore di parlamentari e amministratori uscenti. Si deve lavorare fin da subito per recuperare la disaffezione degli elettori del Pd come le disarticolazioni delle altre forze trentine, coinvolgendo forze sociali e realtà territoriali nell’individuazione di persone in grado di rappresentare il meglio che oggi, e non è poco, anima la realtà sociale: dal mondo del volontariato a quello del lavoro che dà prova delle proprie capacità, da chi si occupa della crescita dei ragazzi ai giovani che scommettono ancora sul Trentino, da chi ama questo territorio a chi lo anima ogni giorno. Un percorso partecipato può aiutare sia per le candidature alle nazionali sia per quelle provinciali. Perché non c’è solo il problema di stabilire se riproporre l’attuale governatore o se riaprire la competizione per la scelta della o del leader: in ballo c’è tutta la coalizione e il suo perimetro. Il Pd, che in teoria sarebbe il primo partito, dovrebbe allora indicare un percorso che chiarisca la direzione da intraprendere nella tutela e nell’uso delle risorse dell’autonomia, nella sfida sul lavoro e la cittadinanza, e che apra porte, portoni e piazze al fine di individuare una classe di amministratori e dirigenti per la nuova stagione dell’autonomia.
C’è da sperare che non prevalga un indistinto e spesso immotivato, se si guarda al nostro contesto, risentimento per quello che non va e soprattutto per quello che si teme. Ma attenzione: se rimarremo immobili e tesi a conservare ognuno il proprio ruolo, non faremo altro che alimentare il risentimento che potrebbe poi trasformarsi in rancore. Allora sì che la questione diventerebbe seria e non facile da gestire, con pesanti conseguenze per l’intero centrosinistra autonomista.