«Il lavoro non è finito». Per Donata Borgonovo Re il disegno di legge di iniziativa popolare sulla democrazia diretta può ancora produrre frutti, nonostante le resistenze della giunta. Lei presiede il gruppo informale della prima commissione che ha lavorato alla revisione del disegno di legge popolare sulla democrazia diretta. Il documento della giunta, secondo i proponenti, è «il colpo di grazia» al loro testo. Viene affossato, in particolare, il «quorum zero».
A. Papayannidis, "Corriere del Trentino", 29 gennaio 2017
«Con il quorum zero avremmo dato un segnale molto interessante. Però credo che su diversi temi sarà possibile raggiungere posizioni intermedie tra quelle del comitato promotore e quelle della giunta. Il lavoro non è finito».
Perché? I promotori non escludono nemmeno di ritirare definitivamente il testo.
«In questo momento, insieme con gli uffici, sto lavorando a una sorta di ripulitura del testo, provando a individuare, come dicevo prima, una via intermedia. L’obiettivo comunque è riscrivere la legge provinciale sulla democrazia diretta, in modo da ottenere un testo unico rispetto all’attuale sedimentazione di testi diversi».
Come si svolge questo lavoro?
«Ci sono quattro testi a fronte: quello vigente, la proposta del disegno di legge di iniziativa popolare, il testo proposto dalla giunta e la possibile mediazione. Poi vedrò con il presidente della commissione, Mattia Civico, se fare un’ulteriore seduta del gruppo informale o riportare tutto il lavoro in commissione».
Su quali punti si può operare una mediazione?
«In Toscana c’è una legge regionale in vigore che funziona bene. Essendo il testo più completo che abbiamo a disposizione, è il nostro principale riferimento. Sul quorum, secondo me non è impossibile passare alla metà più uno dei votanti all’ultima tornata elettorale: una soluzione intermedia tra il quorum zero e il mantenimento del 50% più uno. Penso inoltre che si possa trovare una mediazione anche sul referendum consultivo, rendendolo più formalizzato».
In che senso?
«Scrivendo che se la Provincia non ne accetta l’esito, deve motivare in modo specifico la sua scelta».
Ma così non c’è sanzione.
«La sanzione in questo caso sarebbe politica. Che è la più temuta dai politici».
I proponenti del disegno di legge di iniziativa popolare raccontano che, durante le riunioni del gruppo di lavoro, l’assessore Gilmozzi e i dirigenti elencavano sistematicamente numerose ragioni per cassare ogni loro proposta. È così?
«I proponenti hanno un grande entusiasmo e fanno riferimento agli strumenti utilizzati in Svizzera e in California. Non basta però trasferire questi strumenti in un altro ambito perché siano efficaci. Da noi c’è un altro contesto culturale e forse la politica dei piccoli passi può essere più praticabile. Detto questo, è vero che esiste una forte diffidenza istituzionale verso le iniziative dei cittadini, a volte fisiologica, a volte patologica, di chiusura. Ma non succede solo in Trentino».
Quando si parla di divario di genere, lei dice sempre che, per innescare un cambiamento culturale, è giusto ricorrere a forzature come le quote rosa. Perché non dovrebbe essere giusto fare una forzatura anche per promuovere la democrazia diretta?
«Sì, serve una spinta, o almeno una sperimentazione. Ma sono abbastanza ottimista: anche se non arriveremo al 100% delle richieste dei promotori, se arriveremo al 50% faremo un passo».