"Quando la collera gonfia il tuo cuore, tieni a freno la lingua che abbaia parole vane": così scriveva saggiamente la poetessa Saffo, nel VII secolo avanti Cristo. Ho voluto seguire il suo consiglio ed ho atteso un giorno prima di scrivere questa breve riflessione (speravo di riuscire ad essere meno arrabbiata, ma mi sbagliavo…).
Donata Borgonovo Re, 8 settembre 2016
Mi sono data un po’ di tempo per ripensare alla "festa dell'autonomia" ed a come, anche quest'anno, essa si sia rivelata una festa solo a metà, benché la si sia voluta comprensibilmente rappresentare come una festa per tutta la comunità trentina. Una comunità che, ne converremo tutti senza sforzo, è fatta di uomini e di donne; uomini giovani e giovani donne, uomini maturi e donne di mezz’età, uomini anziani e anziane signore… E ancora, uomini e donne con disabilità, donne e uomini con un lavoro o in cerca di lavoro, studenti e studentesse, uomini e donne alpinisti, uomini e donne genitori, donne e uomini con famiglia o senza famiglia, donne e uomini autorevoli nelle loro professioni, uomini e donne felici o in cerca della felicità, donne e uomini volontari della Protezione civile o di una delle mille associazioni trentine. Uomini e donne ovunque…
…tranne che su quel palco, allestito con fiori e bandiere per celebrare i 70 anni dell’Autonomia, e che si presentava in tutta la sua maschile compattezza. Le voci che hanno narrato il passato, il presente ed il futuro dell’autonomia trentina erano voci esclusivamente maschili: dal moderatore allo storico, dai rappresentanti delle istituzioni provinciali al rappresentante del governo nazionale, una sfilata di uomini. E non è della loro bravura che voglio discutere, ma di quanto la loro straripante presenza rivelasse, impietosa, un’assenza dolorosa. Nessuna donna, in Trentino, è ai vertici delle nostre istituzioni, nessuna donna è considerata adeguata per tenere una riflessione storica o per guidare una cerimonia pubblica: così, nessuna donna ha potuto esprimere una riflessione sull’autonomia nei 70 anni della sua storia. Mi chiedo perché, pur dopo 70 anni di storia dell’autonomia trentina, nessuna donna è riuscita ad arrivare a quel palco imbandierato?
Cosa ne pensa la nostra comunità di cittadini e di cittadine? Cosa ne pensano le donne? Cosa ne pensano gli uomini? Può essere che per molti quanto accaduto non sia poi tutta ‘sta tragedia: le donne sono un po’ dappertutto, in fondo, e quindi perché accanirsi se ci sono alcuni luoghi dove non sono riuscite ad arrivare? Che siano state assenti –quest’anno come i precedenti- proprio da quel palco non sarà poi ‘sto gran problema: si vede che non ce n’era di brave, di preparate, di capaci, di adatte. E poi, insomma, se lì sedevano le autorità, quelle sono e non ce ne possiamo inventare altre per un giorno…
Questa è la tristezza profonda: dopo 70 anni di storia trentina le donne sono ancora giù dal palco delle autorità. Non una deputata né una senatrice, le assessore provinciali dimezzate, mentre le poche sindache brillano nelle loro fasce tricolori e fanno sperare per il futuro. Molte si battono per l’approvazione di una legge che educhi almeno un po’ i cittadini a considerarle voci preziose nel coro della politica e sanno già che verranno ostacolate, nell’indifferenza dei più, come già avvenuto in passato. Nonostante anni di tentativi, di formazione, di dibattiti sul territorio, di sforzi personali e collettivi, di impegno di qualche partito politico, di piccole esperienze positive, culturalmente il Trentino non ha saputo far fiorire la sua Autonomia colmando l’insopportabile divario tra donne e uomini nelle istituzioni.
Un divario contro il quale si batterono con forza le Madri costituenti, ben consapevoli che “è purtroppo ancora radicata nella mentalità corrente una sottovalutazione della donna, fatta un po’ di disprezzo e un po’ di compatimento, che ha ostacolato fin qui grandemente o ha addirittura vietato l’apporto pieno delle energie e delle capacità femminili in numerosi campi della vita nazionale” (Teresa Mattei, 18 marzo 1947). Ora come allora? Senza le donne, la nostra è e resta un’autonomia a metà.