Da almeno trent’anni nel campo del centrosinistra si è maturata la convinzione che per rafforzare la democrazia e al tempo stesso per aumentare la stabilità dei governi è essenziale dare ai cittadini non solo il potere di scegliere i propri rappresentanti in parlamento ma anche il proprio governo.
Michele Nicoletti, "L'Unità", 19 luglio 2016
Per dare ai cittadini questo potere, ci sono due strade alternative: a) si modifica la forma di governo in senso presidenziale; b) si razionalizza la forma di governo della democrazia parlamentare e si adotta una legge elettorale che dia ai cittadini la possibilità di determinare con il proprio voto l’indirizzo politico del governo.
Dalla Commissione Bozzi, all’Ulivo, al PD con tutti i suoi segretari la linea prevalente è stata la seconda: agire sulla legge elettorale per far sì che il voto dei cittadini produca una maggioranza parlamentare unita da una omogenea piattaforma politico-programmatica e da un candidato premier. Insomma no a una legge elettorale in cui alla fine non si sa chi ha vinto e si è costretti o a governi tecnici o a grandi ammucchiate. Per dirla col Bersani del 9 novembre 2012: “con l’aiuto di una legge elettorale decente, quella sera lì bisogna capire chi governa in Italia”.
In un quadro multipartitico come quello italiano il centrosinistra ha sempre ritenuto che la miglior legge elettorale fosse un sistema a due turni in cui al primo turno il cittadino potesse scegliere il partito del cuore e al ballottaggio il partito più adatto a governare. Di qui la sua preferenza per il doppio turno di collegio alla francese.
Il sistema francese però: a) non è mai stato accettato dal centro destra né ora dai Cinque stelle; b) separato da un sistema semi-presidenziale in cui l’elezione del Presidente ha un effetto di traino, non produce necessariamente una maggioranza parlamentare omogenea. La stessa difficoltà – in un quadro con tre o quattro poli significativi – presenta il Mattarellum o il sistema spagnolo.
Di qui la scelta del doppio turno di lista (o di coalizione) che con molti parlamentari PD abbiamo rilanciato nel maggio 2013 (proprio in risposta anche al tripolarismo emerso a febbraio 2013!) e che poi è stato ripreso dall’Italicum. Dal punto di vista sistemico si tratta di un proporzionale con premio di maggioranza che bilancia le ragioni della rappresentatività con quelle della governabilità in modo accettabile e che, tramite collegi plurinominali di 5-6 deputati, riavvicina elettori ed eletti. Rispetto al voto basato solo sul collegio, il doppio turno di lista favorisce la formazione di partiti nazionali che svolgono un ruolo fondamentale di coesione nazionale.
Il premio di maggioranza previsto dall’Italicum è al massimo del 14% (dal 40% al 54%): significativo ma non tale da produrre una eccessiva disproporzionalità tra voti e seggi. Comunque analoga a quella del Mattarellum o di altri sistemi maggioritari come il sistema inglese o francese. Nel caso in cui non si raggiunga il 40%, si va al ballottaggio, cioè a un secondo voto vero e proprio in cui i due contendenti hanno uguali possibilità di conquistare il premio e vince chi supera il 51% dei voti validi e dunque è pienamente legittimato ad avere una quota supplementare di seggi.
Si può correggere l’Italicum? Togliere il ballottaggio all’Italicum è come togliere le ruote a una bicicletta e capovolgere la linea prevalente del centrosinistra negli ultimi trent’anni. E pensare di dare un premio al primo partito senza arrivare alla maggioranza parlamentare è ingiustificato e questo sì potrebbe essere incostituzionale.
Se fa problema il premio conferito al primo turno, perché troppo disproporzionale, si adotti il sistema dei sindaci: si tolga la quota del 40% e si vada al ballottaggio ogni qualvolta non si supera il 50% dei voti.
Si può dare il premio alla coalizione? Il premio alla lista non è sistematicamente diverso dal premio alla coalizione: anche una lista può essere fatta di partiti diversi. La lista però dà maggiori garanzie di omogeneità politico-programmatica e di unità nell’azione di governo ed evita di conferire poteri di ricatto alle formazioni minori che purtroppo abbiamo sperimentato in passato. Per quanto riguarda poi il PD, il premio alla coalizione può produrre scissioni strumentali a sinistra e alleanze elettorali opportunistiche a destra. Non ci farebbe fare grandi passi avanti nell’evoluzione del sistema politico italiano.
Se non piacciono le preferenze e non piacciono le liste bloccate, l’unico sistema compatibile col presente modello è articolare i 100 collegi plurinominali in sub-collegi uninominali (in media sei a seconda dei deputati da eleggere) in cui – una volta attribuito, come nell’Italicum, il numero di seggi alle diverse liste (a seconda dei voti ottenuti nel territorio dell’attuale collegio plurinominale) – risultano eletti i candidati che hanno ottenuto i migliori risultati per la propria lista a livello di sub-collegio (secondo un modello simile al provincellum). Può accadere che vengano eletti più candidati nello stesso sub-collegio, ma appartenendo tutti gli eletti allo stesso collegio di circa sei deputati, il legame col territorio rimane, perché comunque si resta all’interno di un’area di 500/600 mila abitanti. Il vantaggio di un tale sistema di piccoli sub-collegi uninominali rispetto alle preferenze è che i candidati di uno stesso partito non si battono gli uni contro gli altri contendendosi gli stessi elettori, ma ogni candidato è impegnato a far guadagnare voti al proprio partito perché è il miglior risultato del partito nel sub-collegio che determina l’eventuale vittoria del seggio.