Alla luce dell’esito delle recenti elezioni comunali in molte città italiane, davanti ad una sconfitta che è difficile ignorare, dobbiamo essere in grado di aprire una riflessione dentro il Partito Democratico, anche in Trentino.
Bruno Dorigatti, 23 giugno 2016
Come ho avuto modo di affermare nei giorni scorsi sulle pagine de L’Adige, io penso che il “modello renziano” sia finito e che ora si debba cambiare linea di azione politica. Lo ha scritto bene Prodi, lo hanno detto in altro modo anche Bersani e Fassino: l’uomo solo al comando non è sufficiente, per quanto bravo, per quanto in grado di entusiasmare, perché anche l’uomo politico più nuovo si logora in fretta, se non è in grado di elaborare un progetto politico condiviso, efficace e riconoscibile.
Renzi pensava di costruire un partito leggero e di concentrare tutte le energie sul governo. In realtà tra partito e governo si sono scatenati i fuochi di artificio ed è rimasta la cenere. Ha pensato di parlare direttamente al popolo senza bisogno del partito: i risultati purtroppo si sono visti, non a caso in quei contesti politici – le città, i comuni – dove non bastano i proclami, ma servono classe dirigente e programmi politici credibili.
La rottamazione, così come impostata, è stata un grande errore, perché ha fatto allontanare dal partito soggetti singoli e collettivi che stavano attorno a noi e costituivano il tessuto del centrosinistra. Queste persone le abbiamo perse. Non vanno a votare o votano i 5 Stelle.
Ora Renzi deve recuperare l'attenzione verso un partito, il Pd, che si è chiuso su sé stesso, beandosi ingenuamente di un successo come quello delle Europee e vaneggiando un’autosufficienza che si sta rivelando, ogni giorno che passa, una chimera: non è un caso che gli unici successi si siano ottenuti in quelle città, come Milano o Cagliari, dove si è riusciti a tenere in vita – o di riattivare al ballottaggio – uno schieramento ampio che – non fosse un termine ormai desueto – non mancherei di definire “ulivista”.
In questo senso sarebbe opportuno ritornare a discutere la legge elettorale, sapendo che anche su questo fronte non è possibile mortificare una parte consistente del Partito e di andare avanti a colpi di maggioranza, contando su effimeri se non perniciosi apporti esterni.
Non ho mai nascosto le mie perplessità sulla riforma della Costituzione, a partire da una scelta pasticciata sul Senato. Ma ciò che più mi preoccupa è il ruolo che questa riforma dà alle Regioni, ridimensionando fortemente il loro ruolo in una logica centralista che sembra chiudere definitivamente con i tentativi di decentramento che, nel bene o nel male, hanno caratterizzato l’elaborazione politica del centrosinistra negli ultimi decenni. Io credo che questo sia un pericolo anche per le autonomie speciali, nonostante siano state apparentemente salvaguardate: come pensiamo di resistere, infatti, all’interno di un modello centralista nel quale si amplierà il divario tra regioni speciali e regioni a statuto ordinario, con queste ultime che già ora accusano le prime di essere detentrici di ingiusti e sempre meno giustificabili privilegi?
Il PD e l’intero centrosinistra, anche in Trentino, ora devono impegnarsi per cercare di recuperare la rappresentanza di pezzi di società, come i giovani, i precari, il ceto medio che si è impoverito, che si sentono esclusi e finiscono per trovare l’unico riferimento possibile nelle varie declinazioni di populismo o grillismo che meglio si presentano. Vanno affrontati temi come quello della crescita economica, che alla luce dell’ennesima contrazione del bilancio della Provincia deve diventare la stella polare della nostra azione.
Serve un'agenda forte per il futuro della coalizione e serve soprattutto una maggiore coesione. Basta con la litigiosità: se affonda uno, gli altri non si salvano, è bene che tutti abbiano chiara questa evidenza. Se non lavoriamo bene in questi mesi e in questi anni che abbiamo di fronte con responsabilità di governo, questa responsabilità i cittadini la daranno ad altri.