Insulti razzisti a una mamma e ai suoi bimbi

LAVIS - Frasi violente e razziste, ripetute fino alla nausea, scritte sui muri, imperversanti sui social network, cori da stadio e refrain in alcuni film. Tanto che l'indignazione spesso lascia il posto all'indifferenza. Il rischio è proprio quello di farci l'abitudine e di lasciar correre. Ma una frase come «negri di m..., tornatevene da dove siete venuti!» dovrebbe far inorridire qualsiasi persona rispettosa degli altri e del vivere civile.
"L'Adige", 9 febbraio 2016

Per questo merita spazio la riflessione che una mamma ha inviato all'Adige «per condividerla con quei ragazzi che nella bellissima giornata della zobia grassa mi hanno lasciato l'amaro in bocca». Una mamma trentinissima, di Lavis, che dice: «Non mi ritengo vittima né ritengo che la comunità di Lavis sia "razzista" perché non mi è successo mai prima nel mio paese. Penso solo che alcuni giovani siano troppo influenzati da molti dibattiti e discorsi che sentono e ripetono pensando che sia una sorta di gioco e una cosa senza importanza». 
Roshanthi Nicolò - questo il nome della mamma - riflette su quella frase, seguita dal lancio di una bottiglia, gridata da un gruppetto di ragazzi appostato su una collinetta con visuale sulla stradina che attraversa il parco urbano di Lavis. Erano le 16. 30 e la signora tornava a casa con i sue due bambini, dopo la festa in piazza. 
«Io sono una negra: sì è vero. I miei figli che erano con me dei negretti: sì anche questo è vero. Non avete detto nulla di nuovo né di sorprendente, tanto meno originale. Non ci avete illuminato sulla via di Damasco, avete solo tentato di umiliarci sulla strada del ritorno a casa - scrive la signora -. Ci avete provato ma non ci siete riusciti: mi avete però dato motivo di riflessione e pensare non fa mai male». 
«Io sono consapevole delle miei origini, del mio corpo e della natura complessa degli esseri umani - continua -. Questa consapevolezza cerco di trasmetterla ogni giorno ai miei figli, come fanno tantissimi genitori con i propri figli, spiegando loro che non devono mai vergognarsi di quello che sono, di come sono e che lo stesso rispetto che desiderano per sé lo devono sempre donare agli altri perché solo così sarà un sentimento ricambiato». Poi si rivolge direttamente ai giovani della collinetta. «Ma voi che usate le parole a caso senza pensare al loro significato siete altrettanto consapevoli? Credo che offendere gli altri sia in realtà un disprezzo verso voi stessi, un voler riversare sugli altri la vostra rabbia, le vostre delusioni e frustrazioni. Pertanto ragazzi, noi non siamo "negri di merda", non lo sono i miei figli e non lo è nessun'altra persona, che quel pomeriggio sarebbe potuta passare per caso sotto il vostro sguardo e avrebbe ricevuto uguale trattamento. E non sentiamo il bisogno di "ritornarcene da dove siamo venuti" perché è anche da qui che veniamo, da dove venite voi. Siamo di Lavis, apparteniamo all'Italia, all'europa e al mondo: esattamente come voi, che lo vogliate o meno». 
«Dalle vostre parole mi è chiaro che i vostri pensieri sono solo ripetizioni di frasi vuote, di cose che non conoscete realmente: ma è forse meno grave? È solo una ragazzata? NO. Non mi sento di giustificarvi per la vostra giovane età oppure perché siete solo ragazzi. Non me la sento di "ignorarvi" solo perché siete un gruppetto ristretto».
Roshanthi Nicolò conclude la sua lettera con un ringraziamento: «Mi avete dato, senza volere, la possibilità di parlare ancora una volta con mio figlio di argomenti preziosi: del rispetto per noi stessi e per gli altri, del nostro stare bene con gli altri e di come sia importante usare sempre modi gentili nei confronti del prossimo. A voi auguro di ricevere e dare rispetto, di crescere, di incontrare tantissime persone nella vostra vita, e di rendervi conto che la vita è una soltanto e che sprecarla nell'odio e nell'indifferenza di quello che si fa e si dice è davvero un'occasione persa».