Sono almeno tre le ragioni per le quali trentini e altoatesini-sudtirolesi possono rallegrarsi della riforma costituzionale che pochi giorni fa ha passato il decisivo esame dell'aula del Senato.
La prima ragione è che questa riforma fa bene all'Italia. E anche la nostra regione ha interesse che per l'Italia le cose vadano meglio. L'autonomia sa infatti che il mondo non finisce né al Brennero né a Borghetto e sa quindi di non avere nulla da perdere e anzi molto da guadagnare da un Italia forte in un'Europa altrettanto forte.
Giorgio Tonini, "L'Adige", 20 ottobre 2015
La riforma costituzionale rafforza l'Italia in Europa. Perché supera l'anomalia assoluta del bicameralismo paritario (due rami del Parlamento che fanno lo stesso mestiere), attribuendo alla sola Camera dei deputati il potere di dare e togliere la fiducia al governo e trasformando il Senato in camera delle autonomie territoriali, sulla falsariga di tutte le grandi nazioni europee.
Questa innovazione non solo renderà più fluido l'iter di approvazione delle leggi, ma renderà soprattutto più certa l'investitura popolare dei governi e di conseguenza la loro stabilità. Anche grazie alla nuova legge elettorale della Camera, la sera delle elezioni si saprà chi le ha vinte (quale partito, quale leader) e ha quindi ottenuto il mandato popolare a governare per l'intera legislatura. Non accadrà più quel che è successo alle ultime elezioni, quando il Senato ha reso impossibile il formarsi di una maggioranza di governo politicamente omogenea e ha reso inevitabile il formarsi di coalizioni tra avversari. Dunque, la maggioranza spuria (centrosinistra e centrodestra) che sta approvando le riforme, lo sta facendo anche per rendere non più necessario questo tipo di accordi. A sua volta, il nuovo Senato, che non avrà più il potere di fiducia, e sarà composto non più da parlamentari nazionali (che infatti caleranno dagli attuali 950 a 630), ma da rappresentanti delle regioni e dei comuni, oltre a mantenere funzioni di garanzia essenziali come la parità con la Camera nella revisione della Costituzione e nella elezione del presidente della Repubblica, avrà il compito, non meno importante, di armonizzare la legislazione statale, che avrà nella Camera il protagonista principale, con quella emanata dalle regioni.
La riforma rivede anche, razionalizzandola, la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, abolisce in via definitiva le province (ordinarie) e il Cnel, rende più incisivi gli strumenti di democrazia diretta, dalle leggi di iniziativa popolare ai referendum. Consegna dunque all'Italia un sistema politico-istituzionale più moderno ed europeo, perché al tempo stesso più forte e più leggero.
La seconda ragione di soddisfazione, per trentini e altoatesini-sudtirolesi, è la constatazione che anche da questa difficile prova la nostra autonomia speciale esce confermata e anzi rafforzata. Confermata, innanzi tutto. E non era affatto scontato: quando si rivedono i muri maestri di una casa, tutto può succedere. E invece il nostro sistema statutario non è stato intaccato né nei suoi assetti né nelle sue competenze. Anzi, si può dire che si sia rafforzato. I senatori eletti in regione saranno quattro su cento, quando prima erano sette su più di trecento. I deputati saranno eletti con una legge elettorale basata sui collegi uninominali e pertanto diversa da quella nazionale. E la nuova ripartizione delle competenze tra stato e regioni non si applicherà nelle nostre province autonome fino alla revisione dello Statuto e delle norme di attuazione che dovrà essere effettuata attraverso l'intesa bilaterale.
Ma c'è una terza ragione, forse la più promettente in futuro, per la quale possiamo essere soddisfatti della riforma: la possibile rifondazione, su basi nuove, del rapporto tra autonomie speciali e regioni ordinarie. Un rapporto che diventa tanto più importante se si considera che nel nuovo Senato diventerà decisivo stabilire alleanze e intese non più solo col governo centrale, ma anche con le altre regioni. È vero, la riforma riduce le competenze delle regioni e rafforza il ruolo dello stato all'articolo 117. Ma al tempo stesso allunga l'elenco delle materie previste dal 116, l'articolo che fonda le nostre autonomie speciali, ma anche (al terzo comma) pone le basi per il cosiddetto federalismo differenziato: con legge ordinaria e sulla base dell'intesa con la regione interessata, il Parlamento può riconoscere forme di autonomia speciale, in determinate materie, alle regioni ordinarie. Si tratta di un cambiamento importante, subito colto dal presidente della Toscana, lo stesso Enrico Rossi che solo pochi mesi fa sosteneva, quasi con rabbia, l'abolizione delle autonomie speciali. Sull'Unità del 17 ottobre scorso, Rossi dice che con la riforma, «le regioni più virtuose potranno accedere a un'autonomia speciale su temi come il lavoro, l'istruzione, il governo del territorio, i beni culturali ed è quello che vorrei fare nella mia regione... Saremo di fronte ad un regionalismo forte e differenziato, si creerà una situazione emulativa in positivo, ogni ragione sarà spinta a fare bene, a far quadrare i conti perché questo significa guadagnare maggiore autonomia».
Insomma, dalla cultura negativa dell'invidia per le autonomie speciali, a quella positiva della emulazione e competizione. C'è di che essere soddisfatti, come parlamentari del centrosinistra autonomista. Portiamo a casa una riforma che rafforza la democrazia in Italia e l'autonomia della nostra regione. Missione compiuta.