Turismo, torniamo al progetto di Delladio

L'unica cosa positiva determinata dal paventato stop all'apertura di impianti di risalita e piste, è il dialogo che si è aperto attorno al tema dello sci e delle prospettive del turismo invernale. Finalmente! Premetto, a scanso di equivoci, che non ho mai pensato ad un Trentino senza sci, o che possa esistere una promozione turistica indipendentemente dal prodotto sci.
Alessio Manica, "Trentino", 1 dicembre 2020

Ho però sempre pensato che fosse necessario avere il coraggio, la disponibilità e la capacità di pensare allo sci come ad uno dei pilastri – di certo il più importante – di una strategia diversificata. Ad oggi il turismo invernale – cioè lo sci - vale per il Trentino diverse centinaia di milioni di euro, e al momento non ci sono soluzioni alternative. E il punto è proprio questo. Da anni ho la sensazione che questo tema in Trentino sia considerato un tabù, qualcosa di cui prima o poi si dovrebbe parlare senza che nessuno o quasi se ne faccia però carico. Eppure la sensazione è quella di convivere con un elefante a pois nel corridoio, perché è evidente a tutti come il turismo trentino sia legato in maniera preponderante al prodotto sci ma anche di come non siano poche le incognite per il futuro di questo settore.

A cominciare ovviamente dal cambiamento climatico. Parlare di cambiamento climatico, di riscaldamento globale, di innalzamento delle temperature non è più un’opinione, ma rappresenta ormai un dato di fatto con il quale ognuno di noi, a cominciare da chi governa, deve fare i conti. Anche senza l’emergenza COVID questo inizio d’inverno 2020 non sarebbe stato di certo facile per l’industria dello sci: temperature più alte della media, poca acqua accumulata, precipitazioni molto basse, neve naturale quasi del tutto assente e non poche difficoltà anche nella produzione di quella artificiale. Ed è probabile, o meglio certo a detta degli esperti, che questo non sarà un’eccezione bensì la regola. Questo trend non è certo nuovo, eppure solo ora nell’emergenza, come quasi sempre accade, vediamo aprirsi un dibattito pubblico. Credo che la politica provinciale debba cogliere l’occasione, dando spazio ed ascolto a chiunque abbia qualcosa da dire su questo tema. Lo sci è anche un prodotto ad altissima intensità di investimenti, che impone sempre una concorrenza spietata, rispetto alla pista più bella, all’innevamento artificiale più efficace, all’impianto più veloce, all’apres-sky più modaiolo, rendendo spesso la caratteristica del luogo, il paesaggio, un elemento si importante ma residuale nella scelta del turista, pur essendo quello l’unico vero elemento distintivo e non replicabile, e l’unico a mio avviso dal quale partire per pensare ad un’offerta turistica diversificata. Il rischio della monocultura sciistica è l’assenza di alternative: molti territori trentini vivono quasi esclusivamente grazie allo sci, creano lavoro quasi esclusivamente grazie allo sci, producono reddito quasi esclusivamente grazie allo sci.

Il COVID, tangibile e palpabile ahimè ben più dei cambiamenti climatici, ci pone di fronte ad un interrogativo: e se lo sci per un qualche motivo non si potesse più praticare? O se non lo si potesse più praticare nei modi, nelle forme e nell’intensità fin qui conosciute? Questo è l’interrogativo a cui dobbiamo dare risposta. Perchè negli anni è cambiato il modo di sciare, ma non è cambiato il prodotto turistico sci, nonostante il nostro territorio sia certo capace e pronto ad offrire anche altro, come si è dimostrato con lo sviluppo negli ultimi anni dell’offerta estiva.

Non posso quindi che tornare con rammarico all’autunno del 2017, alla proposta di Delladio per il Passo Rolle, e alla decisione della Giunta provinciale di non approfondirla. Allora facevo parte della maggioranza, e non esitai a parlare pubblicamente di una grande occasione persa. Ci sono aree vocate allo sci, che vanno consolidate e sostenute in questa loro vocazione. Ce ne sono altre per le quali si porrà con sempre maggiore urgenza la necessità di immaginare modelli diversi, maggiormente sostenibili, e quella poteva essere un’occasione per sperimentare, per anticipare e per farsi laboratorio; per altro con il valore aggiunto di una collaborazione tra l’ente pubblico e un importante player privato. Credo che grazie a quel progetto, se concretizzato, oggi saremmo stati meno sguarniti.

Da lì era comunque nata una norma, contenuta nella manovra di bilancio 2018, che favorisce gli investimenti e gli interventi legati alla riconversione di quelle località - sempre più in difficoltà nel garantire la sostenibilità dell’offerta sciistica - che decidessero di cambiare il proprio modello turistico. Si può ripartire da lì, non certo invece dalla decisione fuori dal mondo e fuori tempo assunta un anno fa dalla Giunta Fugatti di finanziare con ingenti risorse pubbliche - e senza un piano di sviluppo - la stazione sciistica di Bolbeno, la più bassa d’Italia.