Olivi: «Daldoss, basta definirlo tecnico Rossi lo scelse per allargare il consenso»

«Daldoss è un bravo assessore. Ora, però, per favore si smetta di dire che è un tecnico». Alessandro Olivi non attacca il collega sull’operato in giunta e nemmeno pare prendersela troppo per il suo attivismo politico.
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 23 luglio 2016

 

«Dovremmo essere noi democratici a darci un po’ più da fare sul territorio» osserva. La critica più severa, l’esponente dem la rivolge direttamente a Ugo Rossi: «Era chiaro fin dall’inizio che la scelta di Daldoss, un politico navigato, rispondeva a una precisa strategia».

Assessore, la sorprende che Rossi indichi Daldoss come suo possibile successore?

«Mi sorprendo di chi ancora si sorprende. Se Rossi avesse voluto individuare un tecnico che si occupasse in maniera neutra di urbanistica e finanza locale, avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta. Ha optato, invece, per una persona molto esperta di dinamiche politiche e di sua strettissima fiducia. Un legame perfino più solido di quelli interni al Patt. L’obiettivo era, fin dall’inizio, allargare l’area di consenso».

Questo vi preoccupa come Pd?

«Fatto salvo che se una persona ha un chiaro profilo politico e si muove sul territorio per consolidare consenso politico non lo si può chiamare «tecnico», Daldoss non fa nulla di male, fa politica. Aggiungo che se lavora per allargare la coalizione, io ne sono contento. Gli incontri organizzati insieme da Rossi e Daldoss dimostrano che gli spazi politici ci sono. Semplicemente vanno riempiti».

Quindi non teme un emarginazione del Pd?

«Non credo vi sia un disegno per emarginare il Pd. Ciò che temo è che il Pd si emargini da solo. Temo una certa cultura minoritaria, quella che ci porta a pensare che basti un presunto primato delle idee per vincere».

E se le proponessero Daldoss come prossimo candidato presidente?

«Risponderei che il tema va posto e affrontato nei tempi opportuni, ma che la mia idea è che la prossima proposta debba arrivare dal Pd. Consapevoli della nostra non autosufficienza, dobbiamo avere la forza di rilanciare un modello simile all’Ulivo: un soggetto baricentrico all’interno di una coalizione plurale».

E se le chiedessi un giudizio su Daldoss come assessore?

«Non sta a me dare pagelle, ma sono sincero quando dico che ho un giudizio positivo del suo lavoro e anche di quel furbo pragmatismo che gli permette di ottenere risultati là dove, penso ai Comuni, la sinistra qualche opportunità in passato l’ha sprecata. La criticità che vedo è un’altra».

Quale?

«Il fatto che, anche in giunta, non si investa abbastanza in cultura coalizionale. Questa, al di là del rapporto privilegiato di Rossi con Daldoss, è una scelta che punta a sommare i bacini di consenso, ma crea anche divisione».

A proposito di strategie e consenso, anche dal suo partito, penso a Elisa Filippi, sono arrivati elogi al modello civico.

«Pensare di mutuare il modello civico è un segno di debolezza. La politica non può essere solo una corsa a capitalizzare ciò che accade qui e ora. Non posso immaginare un Pd che imbocca certe scorciatoie. Non significa ignorare il civismo, o avere un atteggiamento di superiorità. Si tratta di conservare la consapevolezza della necessità, per la comunità non per i partiti, di uno sguardo sul futuro più lungo e ambizioso».

Ma il suo partito sta facendo abbastanza?

«Gilmozzi (Italo, ndr) è stato scelto come segretario in un’ottica di unità. Ora che questo presupposto c’è, è il caso di passare all’azione».

In cima all’agenda avete il referendum costituzionale. Non le sfuggirà che, soprattutto nel Patt, c’è freddezza.

«Non mi sfugge e non mi sorprende. Trovo anche naturale che in un partito come il Patt, più attento alla tutela dell’esistente, che all’innovazione, ci siano delle riserve. Io stesso avrei preferito un taglio meno centralista. Sono però convinto che se dovessero prevalere i no, questo paese non solo resterebbe per l’ennesima volta fermo, ma arretrerebbe ancora. Quindi, il Patt dica chiaramente e tempestivamente ciò che pensa. Quello che non può succedere, per essere chiari è che se prevarranno i sì avremo vinto tutti e, se prevarranno i no, avrà perso il Pd».