Giorgio Tonini: ''La Lega è un pericolo insidioso per l'Autonomia. Navighiamo controcorrente ma ce la metteremo tutta''

Il candidato dell'Alleanza democratica e popolare per l'Autonomia è già al lavoro per organizzare la campagna elettorale: "Non è la prima che faccio ma questa volta è diverso: ho l'onore di correre per la presidenza della Provincia, si tratta di un altro campionato, di una categoria superiore".
D. Baldo, "Il Dolomiti", 8 settembre 2018

 

TRENTO. Ieri era già al lavoro nella sede del Partito democratico per le prime riunioni della campagna elettorale. Giorgio Tonini, dopo l'investitura alla carica di candidato presidente dell'Alleanza democratica e popolare per l'Autonomia si ritaglia il tempo per rilasciare l'intervista.

 

Siete già in riunione per la campagna elettorale?
Sì, abbiamo iniziato con le prime questioni organizzative, poi ci troveremo anche con la coalizione per le questioni politiche.

Ne ha già fatte molte, non è la sua prima campagna.
Certo, ma questa volta è diverso. Un conto è la candidatura per il Parlamento e un’altra cosa è la candidatura alla presidenza della Provincia. L'onore che mi viene fatto è molto più grande. E diciamo che è un altro campionato, è un salto di categoria.

 

Mi sembra di cogliere un filo di paura. Sbaglio?
Eh, come no. Ma paura è eccessivo, diciamo preoccupazione. C’è la coscienza che questa sia un'impresa difficile, molto di più oggi, in una situazione che non ci è favorevole. Navighiamo controvento. Insomma, diciamo che non prendo questo impegno sottogamba...

 

Ma non è solo, c'è anche Ghezzi, ci sono anche le altre forze politiche.
E questo è molto importante. Sono due le frontiere esposte, dove io non sono assolutamente autosufficiente. Quella che presidia Paolo, quella del voto critico di un’opinione pubblica che giustamente è sempre più esigente, che ha maturato un giudizio negativo sulle dinamiche attorno ai partiti e che vuole vedere tornare idealità, motivazione, serietà.

 

L’altro fronte?
Il Trentino profondo, di valle, dove la Lega è più impetuosa e minacciosa, su cui serve l’apporto di altre figure della coalizione che nella nostra Alleanza ci sono, in particolare gli amici dell’Upt.

 

Questa frontiera sarebbe molto più presidiata con il Patt. Non crede? Ha provato a recuperare gli autonomisti?
Ho lanciato qualche messaggio in bottiglia, ma ci vuole anche la dovuta discrezione. Se sono rose fioriranno, anche se non mi faccio illusioni. La rottura è stata profonda, aspra, e queste cose quando poi diventano lacerazioni umane sono difficili da ricomporre.

 

Hanno ribadito che loro vanno da soli con Rossi candidato presidente.
Abbiamo alle spalle anni di lavoro assieme. E abbiamo un avversario comune che entrambi giudichiamo molto pericoloso per il Trentino. Due elementi importante, quindi, una storia comune e una comune analisi sull’avversario. Farò di tutto per riallacciare un dialogo con Rossi e Panizza. Non so se ci riuscirò, la prognosi non è favorevole ma farò il possibile.

 

Manca pure Carlo Daldoss, la sera dell’investitura lei dava per scontato che fosse della squadra. Ieri la decisione di abbandonare addirittura la politica.
Mi dispiace molto. Mi dispiace per lui e per il venir meno di una componente importante, quella civica. Al tavolo del confronto l’Upt ha fatto le veci del candidato Daldoss assumendosene la rappresentanza, e quindi senza che nessuno usurpi ruoli altrui, penso che con l’Upt si dovrà ragionare sulla presenza nella loro lista di candidature che colmino questa lacuna.

 

Daldoss dice che ieri lei non l’ha nemmeno chiamato.
Questo non è vero, anche se io non metto in dubbio la sua sincerità. Ieri mattina ho provato a chiamarlo anche più volte ma il telefono era spento. Se c’è stata una mancanza da parte mia me ne scuso, ma voglio che si sappia che ho difeso la legittimità della candidatura Daldoss fino all’ultimo su quel tavolo.

 

E se non sbaglio fu lei, in tempi non sospetti, a lanciare l’ipotesi Valduga candidato presidente…
Pensavo allora come oggi che ci fosse la necessità di arricchire la nostra alleanza con la componente del civismo. E’ una convinzione in me molto radicata, anche prima che Daldoss decidesse di candidarsi da quelle parti.

 

Senta, siete rimasti due giorni e una notte in conclave… Era necessario tutto questo tempo?
Non è che tutte le lungaggini siano indispensabili, a volte c’è una logorrea che potrebbe essere evitata. Ma non facciamola troppo facile. La rapidità in politica si verifica in due occasioni: davanti a gravi fatti eccezionali oppure quando c’è qualcuno che decide per tutti. Quando bisogna mettere assieme sensibilità diverse ci vuole anche un po’ di pazienza.

 

Da quello che si è capito lo stallo si era cristallizzato sulla contrapposizione tra Daldoss e Ghezzi.
C’è stato qualche giorno di confronto faticoso, ravvicinato, che ha portato a una polarizzazione dei due candidati che rappresentavano quei confini esposti di cui parlavo prima. Non sono riusciti a trovare una sintesi e a quel punto è stata considerata la terza proposta.

 

E hanno scelto lei.
’In caso di emergenza rompere il vetro’, ha presente quei dispositivi antincendio? (ride, ndr) Diciamo che è andata così, e ad un certo punto si è fatto ricorso a questo strumento perché tra gli altri due candidati era impossibile trovare la quadra, quadra che si è trovata invece sul nome di mediazione.

 

Sul candidato del Pd.

Al Pd si può rimproverare tutto ma non di essere entrato in questa trattativa con iattanza e arroganza. Ha messo lì questa proposta con grande discrezione. Per giorni è andato avanti il confronto sulle due candidature Daldoss e Ghezzi, senza soluzione. Bisognava trovare un compromesso.

 

A proposito di Pd, dicono che lei sia renziano.
Le racconto un episodio divertente. Durante la campagna elettorale in Valsugana nel 2013, un giorno incontrai un gruppo di operai di Stringo. Operai forestali, gente che lavora con le mani, che spesso è arrabbiata con la politica, a volte anche a ragione. Ce l’avevano con me perché secondo loro il Pd aveva fatto fuori Renzi, perché era stato preferito Bersani alle primarie. Ora non so cosa pensino di Renzi quegli operai. Lo dico perché queste sono cose relative.

 

In che senso?
Da anni siamo alla ricerca di figure nuove della politica e a sinistra la ricerca è ancora più intensa che da altre parti. Renzi è parsa la risposta: in Trentino è arrivato quasi al 45% alle europee di 5 anni fa, votato in modo omogeneo in città come nelle valli. Ora le cose sono cambiate. Di Renzi ho apprezzato coraggio e contenuti riformisti. Quella stagione è però finita.

 

Ora è il momento di Salvini. Ma che cos’è questa nuova Lega?
E’ la versione italiana di una cultura politica che tende a dire che l’Europa è fallita e che bisogna tornare alle nazioni. Sostiene che la sovranità va ri-terriorializzata. C’è un fondo di verità: che l’Europa così com’è non funziona, ma tutto il resto è sbagliato. Dire che l’Europa non funzione e che bisogna tornare alle nazioni è come dire che lo Stato non funziona e bisogna tornare agli staterelli di prima del Risorgimento. E’ una cosa senza senso. In un mondo come questo nessuno degli Stati europei è nelle condizioni per poter essere autosufficiente.

 

Nemmeno per affrontare il tema delle migrazioni, non crede?
Negli anni 2000, all’inizio di questo secolo, in Africa c’erano 800 milioni di persone e 700 milioni di persone in Europa. Se andiamo avanti alla fine del secolo, avremo 500 milioni di persone in Europa e 3 o 4 miliardi di persone in Africa. Si passa da un sostanziale equilibrio a uno squilibrio gigantesco. Ma si può pensare che questo enorme problema possa essere risolto da uno Stato solo?

 

No, è impossibile.
Prodi dice che non ce la farà nemmeno l’Europa. Ci vogliono l’Europa e la Cina assieme per provare a risolverlo.

 

Ma il tema delle migrazioni entra in campagna elettorale non su ragionamenti così alti. La percezione, per molti di quelli che voteranno Lega, è quella dell’invasione.
Stiamo in realtà parlando di cifre molto circoscritte, che comunque devono essere governate meglio, ci sono infatti segmenti del problema immigrazione che non funzionano, dai flussi a quando arrivano da noi. Ma in Trentino ci sono 1.700 richiedenti asilo su 500 mila persone. Ecco, non è un'emergenza ma un problema che dev'essere gestito in modo ottimale.

 

Ma rimane il fatto che siano molti a percepire questo problema come minaccioso. E paradossalmente, più nelle valli dove i profughi sono pochissimi che in città dove sono maggiormente concentrati.
E’ una percezione indotta dai media, dalla propaganda politica, ma anche dalla nostra mancata vicinanza con le persone. Noi andiamo forti nei quartieri alti ma non in quelli popolari. C’è il problema della vicinanza della sinistra ai ceti popolari, della capacità di accompagnare le loro paure e di riuscire assieme a loro a trovare soluzioni. Questo dobbiamo fare, altrimenti quelle paure vengono capitalizzate dalla Lega.

 

Lega e autonomia. Cosa pensa di questo binomio?
La cultura politica nazionalista e anti europeista è una cultura anti autonomista. Europeismo e autonomismo sono due facce della stessa medaglia. Ce lo ha insegnato De Gasperi. Guardi che non è un caso che Salvini abbia scelto il ministero dell’Interno, il ministero dello Stato, della struttura dello Stato. C’è tutto un significato…

 

Si spieghi meglio.
Se c’è un ministero centralista è il ministero dell’Interno. Maroni lo aveva scelto per farlo diventare un ministero federalista ma Salvini lo ha scelto per trasformarlo in un ministero ancora piùcentralista, da cui può controllare tutto il Paese comprese le autonomie. Sa che fine ha fatto poi Maroni in Lombardia?

 

E’ stato fatto fuori dalla Lega di Salvini.
E’ stato licenziato in tronco senza nemmeno gli otto giorni di preavviso. Ecco, io considero Fugatti una persona perbene, ho grande rispetto per lui, ma credo che non abbia la statura per poter resistere a Salvini. Non ce l'ha fatta Maroni… Quindi tenga presente questo: se si vota Fugatti si vota Salvini e la Provincia di Trento diventa uno dei feudi di una forza nazionale e nazionalista che è di per sé contraria all’Autonomia.