Donne: una parità solo formale

Margherita Cogo, "L'Adige", 15 novembre 2010
Caro direttore, le chiedo ancora spazio per intervenire, nuovamente, sulla «questione femminile». Odorizzi, Cont e Rossi hanno interpretato come poco realistico il mio precedente intervento. Non c'è dubbio che noi donne godiamo di una parità formale ma non sostanziale.

Certo, abbiamo accesso alla formazione ed al lavoro tanto quanto gli uomini.
Ma com'è che poi il tasso di occupazione femminile è sempre minore di quello maschile, fino a venti punti in meno (in Trentino il tasso di attività maschile è del 77,2%, mentre quello femminile del 60%, in Italia quello maschile è del 73,6% e quello femminile è del 51,4%)? La progressione di carriera registra un freno netto per le donne nei livelli dirigenziali, perché esiste di fatto il cosiddetto «soffitto di cristallo» che non si riesce a sfondare.
Gli stipendi delle donne, anche a parità di livello, sono inferiori, perché gli incentivi o i premi di produzione non vengono attribuiti a quelle dipendenti che richiedono i permessi per maternità o per assistere i figli o perché scelgono il part-time. Le pensioni oggi erogate in Italia ed anche in Trentino fanno registrare una forte disuguaglianza, infatti la pensione media femminile è esattamente la metà rispetto a quella maschile. Ancora, provate a pensare a quante donne conoscete direttrici (non di una banca centrale, poiché non ve ne sono) di un qualsiasi istituto di credito!
Quante donne conoscete nella veste di rettore di università o preside di facoltà, quanti procuratori generali o presidenti di tribunale, o primari o direttori di enti ospedalieri o quanti amministratori delegati di società pubbliche o para-pubbliche? L'elenco potrebbe continuare ed è certo che donne con posizioni apicali se ne trovano poche eppure vi sono forse, oggi, più donne avvocato che uomini, davvero molte, se non pari, le donne medico, ma com'è che non sfondano? Sono forse meno capaci? Meno meritevoli? Hanno meno titoli? Io credo proprio di no!
Condivido appieno l'analisi fatta da Claudia Mancina in «Oltre il femminismo», che mi permetto di citare: «(…) l'accesso ai diritti politici non ha prodotto una vera inclusione delle donne, che restano cittadine di seconda classe, se si guarda ai dati del salario, dei risultati professionali, della presenza nelle sedi decisionali o politiche (…). In generale, (…) la realizzazione di una piena cittadinanza delle donne (…) richiede di mettere in questione la configurazione stessa della cittadinanza, costituitasi in età moderna sulla base di una necessaria esclusione delle donne. In altre parole, l'esclusione delle donne non è una distrazione o una incompiutezza della cittadinanza moderna, che possa essere semplicemente riparata o risarcita, ma è essenziale ad essa».
Quindi non basta avere uguali diritti per realizzare un'effettiva uguaglianza, è necessaria un'evoluzione culturale della nostra comunità, e che la società italiana, senza eccezione per quella trentina, sia portatrice di stereotipi legati ad uno storico ed antico ruolo femminile è confermato dall'ultima relazione che la Cedaw (Committee on the Elimination of Discrimination against Women) ha stilato per quanto riguarda il nostro Paese; ed ancora, ha attribuito la responsabilità di questa «involuzione» culturale ai nostri canali televisivi. Concludendo, visto e considerato che Berlusconi è il monopolista, di fatto, delle emittenti televisive, e che i suoi programmi alquanto superficiali, sono risultati nel corso degli anni vincenti sotto il profilo dello share, gli stessi hanno lentamente condizionato negativamente anche la tv pubblica. Mi fermo qui, anche se è chiaro che vi sarebbe ancora molto da dire; mi piacerebbe incontrare Giorgia, Antonella ed Ancilla per approfondire, con dati alla mano, la «questione femminile».